Fu la battaglia più sanguinosa combattuta nel nostro territorio ma anche uno dei gesti eroici più forti di cui è rimasta traccia, compiuti dai partigiani. Era il 29 agosto 1944 quando, sul Monte Rovaio, si combattè una battaglia impari tra l’esercito nazi-fascista, oltre un migliaio di militi e la formazione dei partigiani del Gruppo Valanga che non raggiungeva le 70 unità, rimpinguata anche da esuli di città emiliane.
Due giorni prima era stato ucciso all’Alpe di S.Antonio un maresciallo tedesco in perlustrazione e i partigiani, temendo la reazione tedesca sulla popolazione civile, decisero di attirare su di sé le ire del nemico, scegliendosi come terreno di scontro il monte Rovaio. Consapevoli delle difficoltà che avrebbero affrontato ma decisi a non lasciar sola la popolazione, si mossero nel cuore della notte per approntare quattro postazioni di fuoco lungo l’ascesa alla cima del Rovaio, nella speranza di poter arginare il fuoco nemico. Ma la reazione tedesca fu spropositata e inattesa nelle dimensioni. Radunate tutte le forze presenti in zona, compresi i repubblichini, provenendo dal Piglionico e dalla valle della Turrite Secca, si presentarono ai piedi del monte Rovaio in oltre un migliaio per circondarlo e non offrire vie di fuga ai partigiani.
Cominciò così, alle 3,30 della notte la battaglia. Ben presto i partigiani dovettero abbandonare la postazione più a valle e cercare rifugio nelle successive ma l’impressionante massa di fuoco a cui furono sottoposti, li costrinse, dopo sette ore di combattimento a lasciare anche l’ultima e a cercare rifugio sulla cima del monte, ormai sprovvisti di munizioni.
Non essendoci altra via d’uscita, il giovane comandante di Gallicano Leandro Puccetti, 21 anni studente universitario, indicò come unica via di salvezza la parte più scoscesa del monte, un canalone dove avrebbero i suoi uomini avrebbero dovuto provare a saltarci e a correre allo scoperto, schivando il fuoco nemico. Fu una lotta contro il tempo, una corsa con il cuore in gola con i cecchini tedeschi che giocavano al tiro al bersaglio, tra le insidie, le rocce e la boscaglia. Alla fine, diciotto saranno le vittime del Valanga in questa folle discesa a cui si aggiungerà, pochi giorni dopo, anche il comandante Leandro Puccetti, che ferito gravemente durante la fuga, fu portato all’Ospedale di Castelnuovo, sotto falso nome, per tentare di salvarlo. Oggi, a futura memoria di quella strage e di quel nobile sacrificio, c’è una cappella votiva sul Monte Piglionico dove si ricorda come quel posto "il 29 agosto 1944 conobbe crepitio d’armi e strazi di morte e vide animosi giovani offrire la purissima vita perchè la patria risorgesse a libertà".