Quando la Vaccari era la nostra Fiat: "Trentamila lire al mese di Storia"

Nadia ha lavorato in fabbrica negli anni d’oro. "C’era tutto un mondo intorno. Non abbandonatela". I viaggi del nonno col carretto per caricare calce e gas. Le colleghe di Aulla. I bar, le scuole, la stazione.

Quando la Vaccari era la nostra Fiat: "Trentamila lire al mese di Storia"

Quando la Vaccari era la nostra Fiat: "Trentamila lire al mese di Storia"

La storia è passata da quella fabbrica lasciando tracce incancellabili. E’ arrivato il lavoro per migliaia di donne, uomini e anche giovanissimi quando ancora l’adolescenza era sinonimo di pronta occupazione. Ma sono state costruite famiglie oltre a scuole, asili, una chiesa e anche la stazione ferroviaria che doveva servire come collegamento diretto alla Vaccari. E’ stato uno dei grandi esempi dell’economia nazionale quello portato avanti nel piccolo paese di Ponzano Magra da Carlo Vaccari e proseguito dai figli. Le mattonelle e i famosi mosaici usciti da quei capannoni hanno fatto il giro del mondo e l’operatività era garantita per 7 giorni senza interruzione. Tranne il Primo Maggio. Quel giorno era la festa dei lavoratori e delle loro famiglie, arricchita dalla corsa ciclistica giovanile che ancora oggi è tra le più antiche in Italia.

Quanta vita è passata attraverso quel cancello, sulle gambe di chi era diretto al capannone di competenza oppure nella palazzina degli uffici? Sono migliaia i lavoratori che hanno trascorso anni in fabbrica, provenienti non soltanto da Santo Stefano Magra e Ponzano, ma anche da Spezia, dai Prati di Vezzano, da Ceparana, Arcola, Sarzana e mezza Lunigiana.

Era una ragazzina Nadia Bernardini quando nel 1962 ha varcato per la prima volta l’ingresso della Vaccari rimanendo in servizio fino al 1977. Da qualche giorno ha celebrato i 60 anni di matrimonio con Sauro Galletto, festeggiata dai figli Fabio, Marco, e da nipoti e parenti. "Lavoravo alla smalteria – racconta Nadia – gli orari li ricordo benissimo: 6 del mattino fino alle 14 con una ventina di minuti di tempo per il pranzo oppure 14-22. Mio babbo lavorava ai mulini mentre mio nonno Cesare Paganini faceva i rifornimenti di materiale". Un incarico per niente semplice. "Ogni giorno – continua – andava con il carro trainato dall’asino a Romito per caricare calce e bombole di gas. Prima di rientrare in fabbrica si fermava a Sarzana nella zona dell’Olmo per un bicchiere di vino e una zolletta di zucchero per l’asino. Mio zio invece, Eugenio Paganini, era l’addetto al treno che dalla fabbrica trasportava sulle rotaie interne il materiale direttamente alla stazione di Ponzano, da dove i carichi partivano per l’Italia e l’Europa". Lo stipendio? "E come potrei dimenticarlo. Erano 30mila lire al mese e veniva diviso nella quindicina, cioè saldato ogni due settimane. Erano soldi importanti e tante famiglie della zona si sono costruite le case proprio grazie allo stipendio della ceramica".

Un lavoro che ha lasciato segni anche sulla salute dei dipendenti che hanno respirato per anni la polvere senza nessun dispositivo di sicurezza se non qualche fazzoletto bagnato legato davanti alla bocca. Altri tempi anche questi. "Altra vita anche per Ponzano – prosegue Nadia – se si pensa che intorno alla fabbrica erano aperti negozi di alimentari e almeno tre bar. C’erano migliaia di persone in servizio che arrivavano con tutti i mezzi. Era uno spettacolo vedere la quantità di biciclette appoggiate al cancello della fabbrica. Le mie compagne di reparto arrivavano da Agnino in Lunigiana. Raggiungevano Aulla a piedi poi in treno fino alla stazione di Ponzano quindi tutte in fila al lavoro per produrre piastrelle, mattoni e i famosi mosaici che ho ancora nei pavimenti di casa e sono eterni. Sono uscita nel 1977 e ho vissuto anche qualche sciopero e occupazione. Ogni volta che sono tornata, soprattutto per assistere alle manifestazioni estive degli ultimi anni, è sempre stata un’emozione. Vorrei che non venisse lasciata all’abbandono perché rappresenta la storia e la vita di tante famiglie".

Massimo Merluzzi