
di Franco Antola
La speranza, per meglio dire, la vaga illusione di un exploit imprevisto e apparentemente possibile, ieri pomeriggio è durata lo spazio di un’ora o poco più, quando sono arrivati i primissimi numeri dello scrutinio, quelli del seggio di Campiglia, seguiti da quello ospedaliero e poi da Marola. Raccontavano di un vantaggio significativo e, appunto, imprevisto di Piera Sommovigo, candidata del centro sinistra, piazzata davanti a Pierluigi Peracchini con un robusto 50 e passa per cento contro il poco più del 30 del sindaco uscente. Un fuoco di paglia. Lo spoglio successivo ha preso subito ben altra direzione e ha portato Peracchini a superare agevolmente, in tutte le aree della città, un confronto che sulla carta non tutti alla vigilia accreditavano in questa portata. Anzi. Il candidato del centrodestra "largo", sostenuto da sette liste (Lega Salvini Liguria, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Toti per Spezia, Unione di centro, affiancate da Spezia vince e Peracchini sindaco) si conferma - numeri rilevati al momento di andare in stampa - con il 53% sindaco della Spezia, dribblando anche il ballottaggio che a sinistra, negli ultimi giorni di campagna elettorale, consideravano obiettivo possibile. Piera Sommovigo, alla guida dell’alleanza progressista composta da Pd-Articolo 1, M5s, Spezia Bene Comune, LeAli a Spezia (con Europa Verde, Sinistra Italiana e Linea Condivisa) e Spezia con Te, si ferma intorno al 37. E’ stata una partita a due, questo è certo. Assai poco "disturbata" dal resto dei contendenti, per lo più affollati in quell’area civica che aveva espresso candidati come Nanni Grazzini, uscito nei mesi scorsi da Forza Italia per impegnarsi in una corsa solitaria, attestandosi con la sua squadra a quota 2%. O come Antonella Franciosi con i riformisti di Italia Viva e Psi, a loro volta confinati sotto l’1,9, grosso modo come Sandro Sanvenero (Spezia sì). Più distanziati Luca Locci (Forze Popolari), Andrea Buondonno (Spezia sul serio), Paolo Pazzaglia (Spezia al centro), Marisa Granello (Fronte Liberazione nazionale) e Gaetano Russo, rimasti ampiamente al di sotto dell’1%. Un successo, quello di Peracchini, che quando ancora era tutt’altro che consolidato (lo spoglio aveva da poco superato le 10 sezioni), è stato trionfalmente salutato dall’assessore regionale Giacomo Giampedrone, dal coordinatore provinciale della lista Loris Figoli e dal referente giovani Francesco Bernardini. Eppure la candidatura di Peracchini a un certo punto non era poi così scontata, se è vero che a febbraio, dopo la vicenda Quirinale, la stessa Lega ne aveva messo in dubbio l’appoggio e che gli stessi salviniani, FdI e Forza Italia si erano incontrati escludendo da quel primo tavolo lo stesso Toti. Acqua passata, certo, e contrasti sanati nel nome di una scommessa (quasi) unitaria. Molto amaro in bocca invece nel centrosinistra, per quanto il Pd a conti fatti abbia visto incrementare il proprio risultato attestandosi, con Articolo 1, poco sotto al 18% contro il 15,3 di 5 anni fa quando però l’allora candidato Paolo Manfredini strappò l’accesso al ballottaggio con il 25,07% dei voti contro il 32,61 di Peracchini, che poi si impose nel duello finale con il 59,98% rispetto al 40% del competitor.