"Così liberammo i porti dai relitti". Amarcord di palombari e sommozzatori della Marina

In 280 al raduno nella casa-madre che li forgiò alle imprese

Virgilio Pinto davanti alla sede dell’associazione dei palombari in congedo

Virgilio Pinto davanti alla sede dell’associazione dei palombari in congedo

La Spezia, 30 settembre 2017 – Sono arrivati da tutta Italia seguendo il richiamo della casa-madre nella quale sono stati svezzati al mare, all’esplorazione degli abissi, a lavorare sotto pressione a tu per tu con gli esplosivi, con la vita e con la morte. Sono 280 palombari e sommozzatori della Marina Militare che, riposta da tempo la divisa nell’armadio, continuano a vivere nel culto delle immersioni, dei leggendari precedessori dei mezzi d’assalto, delle piccole e grandi imprese compiute al servizio del Paese, con l’ambizione di essere riferimento ai giovani che hanno raccolto i loro elmi, le scarpe piombate. Sono qui, nel «cuore» della storia – nella base del Comsubin al Varignano delle Grazie – per il quindicesimo raduno promosso dall’associazione subacquei di Marina in congedo. Qui, dove dal 1911, è insediata la palestra formativa (dopo la sua genesi avvenuta a Genova nel 1849).

"Ci ritroviamo - dice il presidente Domenico Matarrese - per rinnovare il patto indissolubile di stima e di amicizia al quale siamo legati e che ci lega ai colleghi ancora in servizio: una grande famiglia". Un’adunata in stile amarcord ma anche proiettata, anche, a contrastare quella che sembra una crisi di vocazioni. Il ritmo d’arruolamento è basso: 5 o 6 palombari all’anno.

IL DECANO

Il più anziano della categoria è Elio Rubaldo, prossimo ai 90 anni. «Per cinque anni ho lavorato alla bonifica del porto di Bari, devastato dai bombardamenti. Ho contribuito a liberare il mare dai relitti. Io ho lavorato in Puglia; ma analoghe pagine di fatica e ardimento sono state scritte alla Spezia, a Genova, nei grandi porti della penisola; fu rimettendo in moto questi che potè ripartire il commercio, l’economia; alla Spezia furono ben 324 i relitti rimossi dal fondo, che ustruivano il golfo; un lavoro ciclopico». Una liberazione, concretizzatasi sul mare, che si saldò a quella che era partita dai monti.

BATTESIMO DI MORTE

C’è chi, a 20 anni, iniziò la carriera proprio prodigandosi nella localizzazione e nel recupero dei resti dei naufraghi del Dc 9 che il 23 dicembre del 1978 si inabissò al largo di Punta Raisi, a 60 metri di profondità. E’ Virgilio Pinto, 60 anni, amministratore dell’associazione. "Mentre nelle case si festeggiava il Natale noi eravamo lì, sul fondo, ad adoperarci per individuare e restituire decine e decine di cadaveri ai congiunti disperati, che si reclamavano; corpi martoriati, da ricomporre, con pietà cristiana, umana. Quell’esperienza, nel pieno dell’apertura alla vita, mi ha profondamente segnato e rafforzato nel convincimento a proseguire quella che è una missione, ben lungi dall’ottenere, ora come allora, riconoscimenti economici congrui".

Ma quelli di oggi non è il tempo della recriminazione; semmai del raccoglimento, nella chiesetta della base militare restaurata grazie al contributo di un palombaro che ha fatto fortuna degli Stati Uniti e dell’associazione che tiene alta la bandiera della memoria. Con tante grazie da parte del comandante del Comsubin, l’ammiraglio Paolo Pezzuti: «La presenza al Varignano dei vecchi palombari è la dimostrazione tangibile di passione e attaccamento al reparto: un valore per il Paese, una lezione per chi ha raccolto il loro testimone».