
Un intervento chirurgico
La Spezia, 27 marzo 2019 - I familiari di un meccanico spezzino morto a 77 anni nel 2015 sono convinti: il decesso fu causa delle complicazioni sorte dopo un’operazione alla quale non doveva essere sottoposto o, comunque, per la quale non prestò un adeguato consenso. Di qui, quattro anni dopo, in assenza di un accordo conciliativo in sede extragiudiziaria, la causa civile vera e propria, per ottenere il risarcimento del danno, stimato in circa mezzo milione di euro. La querelle è quella di un presunto tumore al polmone che, dopo gli accertamenti anatomopatologici, tale non è risultato.
«L’operazione venne eseguita presso il reparto di Chirurgia Toracica dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa sull’onda - spiega il legale dei familiari del defunto, l’avvocato Fabrizio Avvenente - degli esami diagnostici che avevano evidenziato la presenza di una formazione tondeggiante, dal diametro di due centimetri, al lobo superiore del polmone destra». Il sospetto maturato dai medici toscani era che si trattasse di un tumore, da rimuovere quanto prima per salvare il paziente dai polmoni già malandati, in conseguenza del fumo. Ma quello, è emerso successivamente, non era un cancro ma, detta in parole povere, un’infiammazione, che poteva essere curata senza interventi invasivi come quello effettuato, che ebbe la conseguenza di compromettere la funzionalità del polmone. «E pensare che secondo i sanitari quello doveva essere un intervento di routine...» dice il legale.
Gli ultimi giorni di vita del paziente spezzino, ricoverato al centro don gnocchi di sarzana, dopo due mesi di degenza nella struttura ospedaliera di pisa, furono un calvario: spirò il 22 novembre del 2015. fin dai giorni successivi al decesso, maturò il sospetto dei familiari che lo stesso fosse conseguenza delle errate diagnosi sul paziente e delle determinazione ad esse connesse. la rappresentazioni, intrise di risentimento, non fecero però breccia. lo stesso dicasi per l’istanza di conciliazione. ieri la notifica dell’atto di citazione nel quale si evidenzia che il chirurgo toracico era talmente convinto della diagnosi di neoplasia «da ritenere accertato ciò che era invece soltanto molto probabile» e di conseguenza evitò approfondimenti diagnostici proponendo una soluzione chirurgica ad alto rischio, stante le condizioni del paziente.
«A causa di queste scelte, che non risulta siano state effettuate con un valido consenso, conseguirono delle complicazioni che, in poco più di due mesi, portarono alla morte il paziente», sostiene l’avvocato Avvenente.
Corrado Ricci