
Erano accusati di aver comunicato un numero di ore lavorative inferiore a quelle effettuate, inducendo in errore la sede Inps della Spezia e ottenendo un ingiusto profitto con la cassa integrazione, che il datore di lavoro avrebbe chiesto con dati falsi. Ma il giudice Marinella Acerbi ha assolto dall’accusa di truffa in concorso la rappresentante legale della cooperativa sociale Neso e quattro soci lavoratori, perché il fatto non sussiste. La fine di un incubo per Anna Maria D’Alessio, 64 anni, di Lerici, difesa dall’avvocato di fiducia Enrico Fabiani Vieri del foro di Firenze e i soci lavoratori Luigi Farinelli di 55 anni residente alla Spezia difeso dall’avvocato di fiducia Larissa Gagliardini, Marco Bertoccini di 54 anni residente a Lerici difeso dall’avvocato di fiducia Gianpaolo Carabelli, Cristian Simula di 47 anni residente alla Spezia difeso dall’avvocato di fiducia Davide Bonanni e Guido Gardoni di 46 anni residente a San Terenzo difeso dall’avvocato di fiducia Luigi Pace. L’inchiesta era stata condotta dalla guardia di finanza, coordinata dal pubblico ministero Luca Monteverde. Gli episodi contestati risalgono a otto anni fa, dal gennaio al luglio del 2012, ed anche all’aprile del 2013 per i soli Bertoccini e Simula. Sulla base delle indagini, sarebbe risultato diverso per ciascun lavoratore il ‘saldo’ delle ore effettive e quelle comunicate, nonché l’ingiusto profitto della cassa integrazione per le ore non lavorate. Una truffa che secondo l’accusa si sarebbe aggirata sui 10 mila euro. L’ingiusto profitto sarebbe rappresentato per i lavoratori dalla percezione dell’indennità per le ore non lavorate, mentre per il datore di lavoro aver presentato una falsa domanda di richiesta di cassa integrazione, perché riguardante un numero inferiore di ore: 271 a fronte delle 821 effettivamente lavorate per Farinelli, 356 a fronte di 1270 per Bertoccini, 352 a fronte di 889 per Simula e 148 a fronte di 397 per Gardoni. Ma il giudice ha assolto tutti con formula piena, accogliendo la tesi dei difensori: il file trovato sul computer della datrice di lavoro, dove sarebbero state attribuite le ore in ’nero’ agli imputati che erano in disoccupazione, non era stato sottoscritto da nessuno e quindi non aveva valore di prova. Gli avvocati hanno sostenuto fosse un foglio senza alcun fondamento e le indagini non ne hanno dimostrato la fondatezza.
Massimo Benedetti