
Tribunale (foto d'archivio)
La Spezia, 13 giugno 2019 - Pena esemplare quella chiesta ieri dal pm Claudia Merlino – 9 anni e 2 mesi di reclusione – nei confronti dell’ortopedico Maurizio Vanni per il diktat rivolto nell’ambulatorio dell’Asl ad alcuni pazienti così da indurli a fruire delle prestazioni nel suo studio privato: «Se davvero vuole guarire, deve farsi visitare nel mio studio privato a pagamento: lì ho le apparecchiature adatte per curarla... Così eviterà anche le code del sistema pubblico...». Una concussione, a volte secondo l’accusa consumata, altre volte tentata, con corredo di trattamenti che lì per lì lenivano il dolore ma non risolvevano il problema, che poi si ripresentava; di qui anche l’ipotesi di reato di truffa, inizialmente contestata.
I fatti, risalenti al 2011, emersero da un’inchiesta congiunta svolta dalla Polizia (attraverso la squadra mobile) e dalla Guardia di Finanza (attraverso il Nucleo di Polizia tributaria), coordinate dal pm Luca Monteverde; l’esito immediato fu la sospensione temporanea del medico dall’esercizio della professione, con successiva reintegra per effetto di una sentenza del giudice del lavoro. Un processo tormentato quello istruito dalla Procura della Repubblica, con variazione in corso d’opera del collegio per il trasferimento in altra sede di due giudici, nuove convocazioni in aula delle parti-offese, per le più anziane (doloranti, con difficoltà di deambulazione) già sentite nelle udienze iniziali, progressivo logoramento delle stesse, con l’effetto indotto della rinuncia, per la maggior parte, a costituirsi parte civile. Solo due, a fronte di una dozzina di citazioni, i pazienti che hanno inteso andare fino in fondo, affiancando la procura nell’offensiva giudiziaria. In pista, per loro, gli avvocati Massimo Lombardi e Antonella Franciosi, che ieri hanno chiesto il risarcimento dei danni a favore e dei loro assistiti, stimati in decine di migliaia di euro.
Il pm Merlino ieri – oltre ad entrare nel merito delle contestazioni, ancorate alle testimonianze inanellate nel processo – ha spiegato il calcolo per arrivare alla richiesta-stangata: 4 anni e 6 mesi di reclusione come pena base; questa, a fronte della recidiva specifica, è salita a 7 anni d 6 mesi; a questi è stato aggiunto l’incremento per la continuazione del reato. Risultato finale 9 anni 2 mesi di reclusione.
Il processo (davanti al collegio presieduto dal giudice Gianfranco Petralia) è stato rinviato a gennaio per le arringhe difensive degli avvocati Giuliana Feliciani e Valentina Antonini. Ma già ieri l’imputato ha fatto da apripista con dichiarazioni spontanee, negando gli addebiti e spiegando, fra l’altro, la differenza fra guarigione clinica e biologica: la prima sempre garantita col superamento dei sintomi attraverso i trattamenti, la seconda connessa a fattori sui quali era spesso impossibile intervenire dato il deterioramento di arti e cartilagini indotto dall’età dei pazienti.
Corrado Ricci