L’arte di Pietro Bellani a ‘Milano scultura’ "I primi disegni? Gli operai dell’Arsenale"

"Non avevo mai partecipato a questa rassegna, mi arricchirà". Classe 1944, 17enne a Parigi poi ha vissuto 10 anni in Germania. Negli anni ’60 le scenografie per un lavoro teatrale dell’Unione Fraterna. "Le ho realizzate usando polistirolo, cartone e ferrotubi"

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di Marco Magi

Lo spezzino Pietro Bellani è uno dei tre noti artisti che – insieme a Giuliano Tomaino e Yoshin Ogata – con l’associazione Startè, è presente in questo weekend alla prestigiosa ‘Milano Scultura’, di scena al Parco Esposizioni Novegro a Segrate.

In quale modo è approdato alla fiera lombarda?

"Tutta la mia vita è un itinerario – spiega Bellani – nel quale osservo ogni cosa dal punto di vista della creatività, accumulando ogni esperienza. Come chiunque ho avuto dei disagi, ma sono soprattutto le fortune ad aver caratterizzato il mio percorso: a 17 anni ero a Parigi, poi per 10 anni ho lavorato in Germania e toccato molti altri luoghi. È la prima volta che partecipo a questa manifestazione, è un tassello che mi arricchirà". Classe ‘44, già negli anni Sessanta intriso nell’arte. E quelle scenografie...

"Per l’allora Unione Fraterna (attuale cinema Il Nuovo, ndr), in un lavoro teatrale, ‘Giocattoli per ragazzi malati’, che affrontava il tema della droga. Utilizzai polistirolo e cartone ed erano tre scenari costruiti su ferrotubi, senza le quinte, per delle opere che oggi chiameremmo installazioni. Il mio è sempre stato un lavoro di ricerca, di materiali e di idee".

Questa sperimentazione ha radici nella sua infanzia?

"Ero un ragazzino nel primo dopoguerra, quando mio padre possedeva un magazzino di demolizioni. Non avevo neppure la lontana idea di diventare un pittore, ma nelle occasioni in cui lui mi accompagnava in quel deposito, rimanevo affascinato da quegli oggetti: gamelle, cinghie, maschere antigas e ciò che poteva essere smantellato per recuperare rame, zinco, alluminio e in generale le materie pregiate. Questo feeling è rimasto vivo dentro di me".

Come ha trasposto tutto questo nella pittura e nell’arte in genere?

"Lavoro esclusivamente su temi che mi affascinano e sono stati 4 o 5, da blu gelosia agli homini, che risalgono, disegnati, al lontano 1965".

Da dove nascono, dunque, quelle figure?

"Mia madre aveva un tabacchino proprio davanti a Porta Sprugola, all’incrocio tra viale Amendola e via Fratelli Rosselli, che ha tenuto cinquant’anni, prima ritirarsi con mio padre in campagna ad Albiano Magra. Davanti ai miei occhi avevo quindi, spesso, lo scenario dell’entrata e dell’uscita dei dipendenti dell’Arsenale. Prima di andare a scuola passavo sempre di lì. Gli homini, insomma, erano gli arsenalotti, tutti con le stesse peculiarità, un berretto e una specie di borsa da scuola, con dentro il cibo perché all’interno non esisteva la mensa. Fotografavo e disegnavo quei momenti e con Augusto Caffaz abbiamo girato anche dei cortometraggi sull’argomento".

La ‘marea’ di persone dell’Arsenale è presente anche a Milano?

"Le tre sculture in legno ‘Multitude’ (in italiano ‘moltitudine’), di homini, figure pressate, masse incollate una accanto all’altra, che occupano uno spazio di 2 metri per 3. Poi l’installazione di homini tutti in fila uno dietro l’altro, che possono essere anche piazzati uno sopra all’altro, sempre di ‘Multitude’. Infine tre bassorilievi figurativi in legno, ferro e plexiglass, un trittico in cui ogni pezzo misura 60 per 185 centimetri, con tema portante le questioni climatiche, legate anche ai disastri naturali".

Impegnato quindi anche nelle tematiche più importanti?

"Contestavo la società dei consumi già alcuni decenni fa, attraverso la poesia visiva insieme al collega e amico Francesco Vaccarone, io nel gruppo di Pisa, lui in quello di Genova. E anche oggi punto la mia attenzione sul consumismo, sui motivi sociali e l’attualità. Sempre con l’occhio attento al materiale di recupero: se vedo un ferro particolare lo acquisisco per poi lavorarlo quando sono ispirato".