"La Spezia: La vocazione al sacerdozio di Samuele Bragazzi, tra sacrifici e rinunce per un legame indissolubile"

Samuele Bragazzi ha affrontato la difficile scelta di diventare sacerdote, superando ostacoli e resistenze. Dopo tre anni di riflessione, ha seguito la sua vocazione con il sostegno della famiglia e della comunità parrocchiale. L'esperienza missionaria in Africa lo ha profondamente toccato. Il suo futuro come sacerdote è ancora in divenire, aperto agli imprevisti.

Samuele Bragazzi ha affrontato la difficile scelta di diventare sacerdote, superando ostacoli e resistenze. Dopo tre anni di riflessione, ha seguito la sua vocazione con il sostegno della famiglia e della comunità parrocchiale. L'esperienza missionaria in Africa lo ha profondamente toccato. Il suo futuro come sacerdote è ancora in divenire, aperto agli imprevisti.

All’inizio un rifiuto netto, accompagnato dalla volontà di eliminare quel pensiero che così tanto imbarazza, turba e sconvolge. Diventare sacerdote, dedicare tutta la propria vita alla Chiesa è una scelta radicale, implica qualcosa che nel nostro mondo è quasi scomparso: l’accettazione del ’per sempre’. Nulla è più pensato in termini di scelta assoluta: lavoro, amicizie, mogli, mariti. Tutto, ma proprio tutto, è soggetto a fluttuazioni e cambiamenti. Ma a spaventare il sedicenne Samuele Bragazzi non è tanto la vertigine che procura qualcosa che non presuppone ritorni o ripensamenti. A fargli mancare la terra sotto i piedi è l’idea che quel pensiero, anche se lui cerca di contrastarlo in ogni modo, non solo non lo abbandoni ma cresca sempre di più. Per fare pace con se stesso, come ora racconta sorridendo, ci vogliono tre anni. La prima persona a cui dichiara la propria volontà di farsi prete è la ragazza di cui è innamorato, poi il gruppetto di amici più stretto e infine la famiglia. Dapprima la sorella Marianna, poi papà Lorenzo e infine, lo scoglio più duro, mamma Tina. Durante un pranzo assieme a tutti i parenti, praticamente a cose fatte, arriva l’annuncio: "Tra poche settimane entro in seminario". Per lei, che come tutte le madri ha un sesto senso infallibile, non si tratta di un fulmine a ciel sereno ma le lacrime – "forse più di sconforto che di gioia" racconta Samuele – scendono copiose. Le stesse, questa volta senza dubbio di felicità, che sono tornate a bagnarle il viso due sabati fa, in occasione dell’ordinazione diaconale di un figlio che in capo a un anno sarà sacerdote.

Come è stata la giornata dell’ordinazione?

"Sicuramente tra le più intense e indimenticabili che io abbia mai vissuto. Ricordo che non sono riuscito a dormire molto, pensavo alle tante cose da preparare, all’emozione e all’agitazione prima del grande rito. In casa si respirava la stessa aria di trepidazione che si percepisce prima di un matrimonio. E in effetti era così, da quel giorno in poi sarei stato unito a Cristo e alla Chiesa con un legame indissolubile.

Quanto ha contato l’esperienza della parrocchia nella sua scelta di vita?

"Moltissimo. Don Luciano Corradi e Don Fausto Spella sono i due parroci che si sono susseguiti nel cammino dalla nascita al mio ingresso in seminario. Un vero dono del Signore poter contare su di loro, sul loro esempio, sentirli sempre vicino a me, come padri nei confronti dei loro figli. La parrocchia di Ceparana è sempre stata un punto di riferimento importante per la mia crescita, l’ho sempre percepita come una grande comunità in cui sentirsi a casa.

"C’è stato un momento preciso in cui ha capito che la sua vita doveva essere consacrata a Dio?

"Quell’attimo particolare lo ricordo bene, è avvenuto nell’estate tra la seconda e la terza liceo, alla conclusione di un campo estivo a Cassego. Alla lettura di un passo del Vangelo di Luca (Lc 12, 29-31) tutte le mie certezze sono venute a mancare. Quei versetti biblici, in cui Gesù chiede ai suoi discepoli di lasciar perdere le vanità della vita e di mettersi alla ricerca del regno di Dio, sembravano rivolti proprio a me. In quel momento ho capito e ho fatto la mia scelta".

Lei di recente è stato in Africa, cosa le ha lasciato quell’esperienza?

"Sono stato lo scorso febbraio a Douala, in Camerun, assieme a don Manrico Mancini in un viaggio alla scoperta del popolo e della chiesa africana. Un episodio mi ha toccato particolarmente: l’incontro con un ragazzino di 12 anni malato di tumore. Non era nemmeno battezzato, ma il suo sorriso e la sua pace quando abbiamo pregato insieme mi hanno mandato in crisi. Ho pianto tutta la notte e ancora adesso rivedo i suoi occhi".

Tra quanto sarà ordinato sacerdote? Il suo futuro?

"Il periodo può variare da sei mesi ad un anno. Mi piace lo studio ma anche stare tra la gente. Sono aperto a tutto, fino ad ora nella mia vita nulla è andato come avevo pianificato. E gli imprevisti sono doni meravigliosi".

Vimal Carlo Gabbiani