La battaglia a Lago Santo. In 9 resistono all’assedio. Respinto l’assalto nazista

La commemorazione della lapide che ricorda l’eroismo del gruppo di ’Facio’. Presenti parenti, istituzioni, associazioni partigiane e studenti delle scuole.

La battaglia a Lago Santo. In 9 resistono all’assedio. Respinto l’assalto nazista

La battaglia a Lago Santo. In 9 resistono all’assedio. Respinto l’assalto nazista

Eravamo in tanti ieri, al Lago Santo, a ricordare la battaglia del 18-19 marzo 1944. Una manifestazione insolita, come la lapide che abbiamo omaggiato: perché non ricorda caduti, ma combattenti per la libertà, in quel caso vittoriosi. Il loro capo era Dante Castellucci “Facio”, calabrese. Con lui c’erano otto partigiani: Luigi Casulla, Luciano Gianello, Giorgio Giuffredi, Pietro Gnecchi, Giuseppe Marini, Terenzio Mori, Lino Veroni e Pietro Zuccarelli. Tutti provenienti – salvo il sardo Casulla - dalla Lunigiana, dal Parmense, da Sarzana come Giuffredi. Appartenevano al battaglione garibaldino Picelli, comandato da Fermo Ognibene “Alberto”, e operavano in Lunigiana. Si erano spostati verso il Lago divisi in due gruppi, forse per unirsi ad altre formazioni garibaldine parmensi, forse per sfuggire al rastrellamento nazifascista in Lunigiana dopo l’assalto al treno a Valmozzola del 12 marzo. Il gruppo più numeroso, guidato da Alberto, non raggiunse mai il Lago: si fermò a Succisa il 15 e fu attaccato da una guarnigione della X Mas. “Alberto” fu ucciso con due suoi uomini, il resto sbandò. Il gruppo di “Facio” il 16 o il 17 si stabilì nel rifugio sul Lago, in attesa dei compagni, ignaro di quanto accaduto.

Nel pomeriggio del 18 arrivarono ottanta fascisti e trenta tedeschi, probabilmente per rastrellare un’altra banda garibaldina che fino a pochi giorni prima era in quella zona. I nove resistettero all’assedio oltre venti ore, sparando a colpo sicuro e raccogliendo le bombe a mano lanciate dentro il rifugio per ricacciarle verso i nemici. Il pomeriggio del 19 i nazifascisti si ritirarono, per curare i feriti e tornare con maggiori forze. Lasciarono alcune sentinelle, ma i nove, tutti feriti, riuscirono a fuggire e a tornare nel Pontremolese, dove appresero con grande dolore della morte di “Alberto”. Ma “il Picelli non muore”: con “Facio” comandante diventerà una delle bande più attive e amate in Lunigiana fino al 22 luglio 1944, quando “Facio” verrà ucciso da altri partigiani. L’episodio sembra inverosimile, ma è confermato da molte testimonianze e dal notiziario dei fascisti della GNR. Può darsi che il numero degli assedianti fosse minore, che gli oltre cento nazifascisti siano arrivati dopo la fuga dei nove. Ma il significato resta, tant’è che il mito si diffuse subito: un capitano tedesco fu udito in un caffè di Pontremoli mentre definiva “eroi” i ribelli del Lago Santo. La battaglia galvanizzò gli animi e spinse nuove forze alla lotta in tutto l’Appennino. Alla manifestazione erano presenti i parenti di Gianello, Gnecchi e Zuccarelli, il sindaco di Bosco di Corniglio, le associazioni partigiane, l’Istituto storico parmense, gli studenti. Se ottant’anni dopo i protagonisti di una storia così breve come la Resistenza non sono dimenticati, vuol dire che è la storia migliore che abbiamo avuto. E che abbiamo: perché è la storia che ci ha dato la libertà e la democrazia.

Giorgio Pagano

(co-presidente del Comitato

Unitario della Resistenza)