Giacomo Verde nella retrospettiva iniziata al Camec

Videoartivista, come si definiva, o tecnoartivista, "Giacomo Verde estendeva il fare artistico a un’esplorazione insubordinata e irriverente della tecnologia e a un attivismo sociale, civile, politico nel senso vero e alto del termine", scriveva qualche tempo fa la docente e studiosa di media art Sandra Lischi. ‘Liberare arte da artisti, retrospettiva dell’artista multimediale Giacomo Verde (1956-2020)’, che ha inaugurato ieri al Camec (fino al 15 gennaio), riprende una frase del poeta Lello Voce, utilizzata spesso da Verde per affermare la volontà di non confinare l’opera entro il sistema istituzionale delle arti ma, al contrario, di liberarla: liberare linguaggi e idee, scavalcare confini, incoraggiare utopie comunitarie senza puntare all’autoralità e al copyright. La mostra, anziché porsi come archivio totalizzante del lavoro quarantennale di Verde, è una ’memoria d’arte vivente’, che alternerà per ben sei mesi, proiezioni, oggetti, video creazioni e installazioni storiche dell’artista, oltre a omaggi, performance e re-interpretazioni attuali delle sue oper’Azioni, a cura di colleghi e artisti che gli sono stati accanto o sagaci reinventori delle sue tecniche e del suo universo tecno-poetico. La mostra è un’esplorazione intorno al ‘fare’ creativo e artivista di Verde, tra video, televisione, interattività, teatro e rete.