
A spasso con il restauratore Caropreso nel sito di origine rinascimentale che domina le colline spezzine. Il conservatore del Podenzana: "Qua sorgerà un lapidario civico". Ecco i tesori di marmo dell’ex convento.
La prima, collocata presso la porta della chiesa di santa Cecilia, riporta la data del 18 settembre 1594, anno di consacrazione della chiesa del convento da parte di Giovanni Battista Salvago, vescovo della Diocesi di Luni e Sarzana dal 1590, membro di una nobile famiglia genovese e diplomatico alla corte imperiale. La seconda epigrafe, situata presso la porta del convento, ha un’iscrizione, in parte abrasa, che riporta la data del 22 maggio 1729 quando chiesa e altare maggiore furono intitolati a santa Cecilia. La terza epigrafe, datata 1789, è stata donata al convento da Mariano Pensa, monaco olivetano superiore del monastero di Nostra Signora delle Grazie. La quarta, apposta sull’altare dedicato a Maria, fu fatta costruire da Iacopo Barbarossa, appartenente a una famiglia spezzina di antica nobiltà. Infine, l’epigrafe risalente al 1787 ricorda la dedicazione di un altare a santa Rosalia.
Hanno trovato nuova e definitiva collocazione le cinque epigrafi marmoree, provenienti dall’antico convento di clausura delle Clarisse di via XX Settembre e dall’attigua chiesa dedicata a santa Cecilia, che, custodite per molto tempo nei depositi del museo civico etnografico ’Giovanni Podenzana’, in questi giorni sono oggetto di lavori di pulitura e restauro a cura dello specialista restauratore Matteo Caropreso. Nella mattinata di ieri il parco della Clarisse, vera e propria area museale a cielo aperto che l’amministrazione ha riqualificato all’inizio del 2025 e restituito alla comunità, nell’ambito del più ampio progetto ’La Spezia Forte’, si è trasformata in un cantiere ‘en plein air’ per dare l’opportunità alla cittadinanza – e non solo agli addetti – di assistere alle operazioni di riqualifica e recupero. La visita all’interno del sito è stata guidata da Giacomo Paolicchi, conservatore del museo civico etnografico ’Giovanni Podenzana’, che ha ripercorso la storia dell’intero sito soffermandosi non solo sulle cinque iscrizioni marmoree ma anche su altri reperti, di diversa provenienza, che, nell’ottica di rendere il parco un "futuro lapidario civico", entrano ora a far parte di questa collezione. "Ogni epigrafe – spiega Paolicchi – era a dedicazione di una cappella degli altari laterali a ricordo di altrettante famiglie spezzine con ‘giuspatronato’ (il diritto di patronato su un beneficio ecclesiastico, ndr.). In una di queste – precisa – per esempio, si parla di una generica ‘famiglia Friderica’ che noi abbiamo ipotizzato essere la famiglia Federici. Invece, un esempio di ricostruzione, estranea all’area del convento e della chiesa, ma coerente con la finalità ultima del parco, è il posizionamento dei quattro pilastri d’angolo e delle due lapidi che costituivano i plutei del recinto dell’albero della libertà: un vero arbusto, o palo, decorato con tricolore e cappello frigio; mutuato dall’epoca della rivoluzione francese e divenuto fulcro delle cerimonie civili anche in Italia. Simbolo, quest’ultimo, che originariamente era sito nell’attuale piazza Beverini. Altra importante ricollocazione è quella di un capitello della città medievale, proveniente presumibilmente dalla zona di viale Aldo Ferrari, che reca l’iscrizione ‘Comunitas Spediae’: costituisce una delle prime attestazioni dello stemma della città".
Grande interesse ha suscitato l’intervento di restauro operato da Caropreso. "In generale – spiega – le epigrafi sono in buono stato, a parte per alcune ’righe’ di possibile trascinamento. Ne eseguo la pulitura utilizzando biocìdi (prodotti chimici per eliminare l’azione di batteri, ndr.) come i sali quaternari d’ammonio miscelati con tween 20, tensioattivo non ionico che equivale a un sapone delicato; il tutto disciolto in acqua demineralizzata. Con spugne eseguo tamponature e con spazzole e sfregamenti delicati, infine, dove ci sono gocce di intonaco o calce le rimuovo con bisturi. Ultimo, è il trattamento protettivo chimico: impacchi di ossalato d‘ammonio creano una reazione con il carbonato di calcio e facendo ottenere l’ossalato di calcio: una sorta di guaina che rende il marmo inattaccabile".