
Luigi Ghirri, Padova 1986, Serie Paesaggio Italiano, 1986
Firenze, 16 ottobre 2014 - "La finalità di Ghirri non è quella di dare vita a nuove immagini a tutti i costi, quanto piuttosto quella di creare un filo rosso, di trovare dei legami, dei collegamenti con il patrimonio iconografico esistente". Ventitre scatti per aprire una finestra sul mondo di uno dei maestri della fotografia del XX secolo. Di un artista che nella sua breve vita (1943-1992) è stato anche un teorico dell’arte, un organizzatore culturale, un editore, un protagonista della riflessione artistica a partire dagli anni Settanta. E' la Galleria Poggiali e Forconi di Firenze, in via della Scala 35/A, a presentare una rassegna dedicata a Luigi Ghirri, a cura di Angela Madesani, che si apre sabato 18 ottobre e prosegue fino al 20 gennaio col titolo "L'immagine impossibile".
La mostra propone un’antologia di fotografie datate fra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta, che provengono da alcune serie dell’artista emiliano, in particolare da Piazza Betlemme, Il giardino di tutti, Paesaggio italiano. Presenti inoltre alcune immagini provenienti da altri cicli di lavori come Topographie - Iconographie, Still Life, I Teatri di Reggio Emilia, Il Museo dell’Astronomia di Bologna. Luigi Ghirri ha iniziato a utilizzare la fotografia dalla fine degli anni Sessanta durante alcuni viaggi. Fortemente interessato al mondo dell’arte concettuale ha, ben presto, dato vita a un suo linguaggio, immediatamente riconoscibile, in cui, attraverso una sorta di presunta normalità, è riuscito a porre in luce le icone della contemporaneità, elementi portanti dell’immaginario collettivo.
"L’amore di Ghirri per la fotografia nasce dalla sua passione nei confronti dell’immagine - spiega Angela Madesani -, che sin dall’inizio trova dei referenti nel mondo dell’arte più che in quello specialistico della fotografia. In tal senso va letta la sua frequentazione degli artisti concettuali modenesi: Franco Guerzoni, Claudio Parmiggiani, Giuliano Della Casa, Carlo Cremaschi, Franco Vaccari. L’incontro con questo mondo ha una data precisa, il 1969, segnato dalla conoscenza di Franco Guerzoni con il quale lavorerà in molte occasioni". Protagonisti della personale dedicata all’artista emiliano, sono soprattutto i paesaggi e l’architettura, costanti dell’iconografia ghirriana in cui l’orizzonte è come ampliato. Le prospettive mostrate da Ghirri sono reali, ma anche artificiali, in una dimensione di apparente quanto gradevole semplicità, a cui tutti si possono accostare con facilità. Nelle fotografie in mostra centrale è la presenza di immagini dedicate ai giardini; specialmente a quelli di Reggio Emilia, con alcuni scatti, che funzionano come una sorta di inventario. Lo stesso Ghirri, infatti, definisce il giardino come “un enorme abbecedario della natura, come il luogo appartato, nelle città, dove si mescolano in una misteriosa sospensione tempo e spazio, organizzazione razionale e forme libere”. La raccolta di scritti di Ghirri pubblicata cinque anni dopo la sua scomparsa, prende il nome di "Niente di antico sotto il sole". La frase è ripresa da un suo scritto del 1986 dove il fotografo racconta di avere visto in un giardino a Parigi un piccolo e particolare oggetto che riportava la scritta in latino: Niente di nuovo sotto il sole, dal Qoèlet o Ecclesiaste, un testo contenuto nella Bibbia. "Qualche giorno addietro, leggendo un libro di Borges, mi è tornato in mente tutto questo quando il poeta argentino scrive: Non c’è niente di antico sotto il sole. Mi sembra che questa frase possa contenere molti dei significati e delle motivazioni che hanno da sempre accompagnato il mio lavoro".
In contemporanea con la rassegna dedicata a Ghirri, la galleria Poggiali e Forconi presenta, nello spazio della sua project room, Monochrome la personale dell’artista romano Danilo Bucchi che espone per la prima volta a Firenze. La mostra presenta le ultime opere di Bucchi, realizzate appositamente per la galleria con la particolarissima tecnica di pittura che contraddistingue l’artista romano, resa attraverso un marcato segno grafico che resta inseparabilmente legato ad un’attenta ricerca formale e stilistica Le sue opere più note, sono infatti costituite da linee nere che vanno a costruire figure, pupazzi stilizzati, piccole case e segni. Per farlo utilizza non un pennello ma una siringa, dotata di aghi più o meno sottili che danno per Bucchi una maggiore precisione e continuità del tratto rispetto al pennello. La sua pittura appare, quindi, quasi come una sorta di scrittura, tanto che lui stesso afferma: "Mi viene naturale esprimermi attraverso un flusso di inchiostro, che corre sul foglio come se fosse una grafia". E proprio per questa sua peculiare tecnica di pittura che Bucchi ha compiuto lunghe ricerche sui materiali per preparare le sue tele in modo far diventare la tessitura il più possibile simile alla texture di un foglio di carta: le rende bianche, pure, impenetrabili nella trama allo smalto, in modo che il tratto lasciato dalla siringa sia preciso e senza sbavature. Il segno per l’artista romano è, infatti, un elemento primario della sua ricerca che si contorna soltanto di pochi non colori: il bianco e il nero ai quali a volte aggiunge il rosso intenso e drammatico. Pochi tratti, a volte leggeri, a volte più spessi, che vanno a creare un mondo di figure e situazioni in cui il segno, come scrive Angela Madesani nel suo testo critico “è un elemento primario dell’alfabeto pittorico, che si espone nella sua nudità”.