
di Olga Mugnaini
Esattamente un secolo fa, a Firenze e sulle pagine della Nazione, nasceva la tuta. Un indumento figlio del Futurismo, generato da due fratelli artisti, geniali e cosmopoliti, che con questo capo di abbigliamento hanno lasciato un segno indelebile nell’arte ma sopratutto nella vita di tutti i giorni. Questo abito da lavoro è così familiare che sembra essere sempre esistito. E invece sono stati i fiorentini Ernesto e Ruggero Michahelles, in arte Thayaht e Ram, a inventarsi nel 1920 questo completo geometrico, a forma di T, risultato di straordinari cambiamenti sociali e culturali all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione d’Ottobre.
A ricordare l’anniversario è un discendente di quella famiglia così eclettica, Riccardo Michahelles, figlio di Ram, curatore dell’Archivio Thayaht & Ram che ha sede nella casa museo nel viale del Poggio Imperiale.
"Tutto inizia a Firenze, come un romanzo, fra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1920 - spiega Riccardo Michahelles -, quando fu coniato l’appellativo di tuta e ideato il modello maschile prima e femminile dopo qualche settimana. Sul giornale “La Nazione” furono pubblicati i modelli. Il 27 giugno alle 8 del mattino in via Ricasoli, davanti alla sede della Nazione, si invitavano a comparire circa mille ‘tutisti’ fiorentini, uomini in TuTa, donne in TuTa e bambini in TuTa, ingaggiati gratuitamente come comparse per sfilare lungo le vie e le piazze principali della città per poi terminare con un rinfresco di birra collettivo alla Loggia di Piazzale Michelangelo".
Come verrà scritto sulle pagine della Nazione una settimana prima della sfilata, chi voleva partecipare doveva acquistare il cartamodello al prezzo di 0,50 centesimi allegato al quotidiano fiorentino, realizzando poi a casa propria la “tuta“. Il risultato fu un vero successo.
La parola stessa è un’invenzione futurista, e nasce dalla caduta di una T di “tutta“, intesa come “tutta la gente“.
"La TuTa ha un potente messaggio sociale e politico – prosegue Riccardo Michahelles –. Trasmette fin da subito il concetto della popolarità di un abito alla portata di tutti e quindi adatto a tutta la gente, dove sono riuniti praticità, eleganza, colore e convenienza. Inoltre, lo scopo era far sentire meglio le persone, proprio in quello specifico periodo tragico della storia, dando un senso di sollievo pratico e psicologico. Dobbiamo pensare che avere la possibilità d’indossare un indumento di alta moda a un costo popolare fra le 30 e le 45 lire era la vera rivoluzione dell’abbigliamento. Oltretutto, si poteva contrastare l’oligopolio delle maggiori case di moda francesi presenti in quel periodo sul mercato, rafforzando la moda italiana. E si può dire che da allora nacque ufficialmente il made in Italy".