
La consigliera comunale di Calenzano, Anna Paola Nenciaroni, e la madre di Gerardo Pepe, morto nell’esplosione di Calenzano
Come si va avanti dopo essere sopravvissuti a una tragedia come quella di Calenzano, a un devastante terremoto, a una strage? Come si può provare a dimenticare l’orrore visto coi propri occhi? Maurizio Chiesi, psicologo e psicoterapeuta è anche presidente di Cerchioblu, associazione specializzata nella gestione delle situazioni critiche in emergenza. Come psicologo è intervenuto in calamità come il terremoto di Amatrice, l’alluvione di Campi Bisenzio e fa parte del progetto di supporto psicologico dei familiari e degli agenti intervenuti in incidenti stradali mortali.
Dottor Chiesi, come affrontare il vissuto di un trauma, dell’aver visto la morte in faccia?
"Non abbiamo una linea che va bene per tutti. Dobbiamo adattarci alla persona che abbiamo davanti. Ma con tutti, cerchiamo di non lasciare sedimentare le emozioni negative legate a un evento traumatico: tentiamo di farle uscire".
Però non tutti hanno voglia di parlarne subito.
"Non è facile tirar fuori le emozioni nei primi momenti. La prima cosa da fare, è conquistare la fiducia del nostro interlocutore. In eventi come quello di Amatrice, ci trasferiamo sul posto, dormiamo, mangiamo, viviamo con le persone proprio per far sentire la nostra presenza. Ascolto e presenza sono le parole chiave".
Ci sono approcci differenti da adottare con i sopravvissuti a una tragedia e i familiari delle vittime?
"Le istanze sono simili. Il disturbo post traumatico da stress insorge sia per esperienza diretta che per aver assistito a una morte violenta o per subirne le conseguenze. Per i familiari, che da un momento all’altro perdono un loro affetto, deve essere attraversato il lutto che può anche far scaturire rabbia contro il proprio congiunto che li ha lasciati; è una rabbia sana. Per i sopravvissuti può subentrare un immotivato, ma naturale senso di colpa per avercela fatta; va affrontato con la giusta razionalità. Prima si interviene, meglio è. Chi pensa di farcela da solo, spesso poi si rivolge a un professionista quando ormai il trauma è cristallizzato ed è più difficile da togliere. Prima si tira fuori, meglio è, pur concedendoci il tempo di soffrire, di attraversare questo momento difficile".
I soccorritori hanno bisogno di supporto psicologico?
"Nel momento dell’emergenza agiscono grazie all’attenzione e all’adrenalina: fanno quel che devono. Ma quando chiudono il portellone per rientrare in sede, cala la tensione nervosa e sale il vissuto emotivo. Sono uomini e donne normali che si trovano a fronteggiare eventi eccezionali. Facciamo con loro un debriefing perché non sedimentino il trauma e tornino a casa più sereni possibile, per poi ricominciare il giorno dopo".
Dottore, si può superare davvero il vissuto di un trauma così grande?
"Gli si può dare un peso più ridotto. Il ricordo ci sarà sempre, ma non provocherà pensieri così negativi, flash di memoria, fobie, ansia. Bisogna però lavorarci e chiedere una mano".