Georgofili: Firenze ferita al cuore. Mafia e terrore, la trama mai svelata

La memoria è viva a distanza di 28 anni: cinque persone morirono per l’esplosione di un’autobomba

Si scava tra le macerie dopo l'esplosione (Press Photo)

Si scava tra le macerie dopo l'esplosione (Press Photo)

Firenze, 26 maggio 2021 - Una ferita che Firenze ha saputo curare, ma che come tutte le cicatrici resta lì, testimone di ciò che è stato e di ciò che non dovrà mai più essere. I Georgofili , la strage. Alle 1.04 del 27 maggio del 1993, la città fu svegliata da un boato, peggio che durante la guerra. Dalle macerie, in un’atmosfera più cupa e smarrita di quella che i fiorentini avevano vissuto con l’alluvione del 1966, i vigili del fuoco estrassero dal crollo della torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, i corpi di cinque vittime. Una famiglia intera, quella del vigile urbano Fabrizio Nencioni, 38 anni, della moglie Angela Fiume, 31 anni, e delle due figlie Nadia, 9 anni, e la piccolissima Caterina di appena 50 giorni. Morì anche Dario Capolicchio, che di anni ne aveva appena 22, studente siciliano che a Firenze voleva costruirsi un futuro. Quel futuro negato dal tritolo con cui venne imbottito un Fiorino, parcheggiato qualche ora prima di quel botto all’ombra del corridoio Vasariano, sotto le finestre della galleria degli Uffizi. Che, come la mafia voleva, vennero anch’essi sfregiati da quel disegno subdolo e distruttivo. Già, la mafia. La bomba ai Georgofili non fu soltanto un attentato al cuore di una città, dei suoi cittadini e del suo inestimabile patrimonio artistico. Ma è stata anche una tessera di un mosaico del terrore non ancora completamente venuto alla luce, su cui la società civile da un lato, e la magistratura dall’altro, non hanno mai smesso di cercare la verità.

La strage dei Georgofili diede drammaticamente il via a quella stagione che avrebbe visto lo Stato arrivare a trattare con ’cosa nostra’ pur di arrestare l’escalation di morti. Un punto delicato della vita repubblicana. Dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino e alle rispettive scorte, compiuti nell’anno precedente ai Georgofili, uomini delle cosche arrivarono ‘in continente’ per progettare una serie di attentati che metteranno davvero in ginocchio il Paese. Pochi giorni prima dell’esplosione agli Uffizi, il giornalista Maurizio Costanzo era miracolosamente scampato a un agguato in via Fauro, a Roma. Sinistro presagio, ma nessuno pensò che la Mafia avrebbe fatto ancora di più. E di peggio. Alle cinque vittime innocenti di Firenze, si aggiungeranno, in rapida successione, gli altri cinque morti di via Palestro, a Milano, e le autobombe, fortunatamente senza caduti, di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, Roma (27 e 28 luglio 1993). E solo per un miracolo non si consumerà un altro eccidio, progettato allo Stadio Olimpico nel giorno di una partita del campionato di calcio: l’obiettivo erano i contingenti dei carabinieri. I processi. La procura di Firenze individuò in Bernando Provenzano, Matteo Messina Denaro, Totò Riina, nei Graviano, le menti di quelle stragi. Successivamente, grazie alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza (che ha offerto una nuova lettura al periodo delle stragi), venne individuato e condannato anche chi aveva procurato l’esplosivo utilizzato a Firenze e Milano.

Si indaga ancora. Ma nonostante gli ergastoli, le inchieste sui Georgofili e gli altri attentati mafiosi del biennio 92-93 vanno avanti, a braccetto con il capitolo su mandanti e "trattativa". La più consistente è quella che porta alla pista dell’ausilio dei Servizi deviati nell’esecuzione materiale delle stragi. A Firenze, e non solo, fu notata anche una misteriosa donna. Recentemente, ‘’madrenatura’’ Graviano ha parlato dei suoi rapporti con Berlusconi, tirandosi fuori da un ruolo nelle stragi che invece le condanne gli attribuiscono.  

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