Georgofili, non fu solo la mafia: "Mani esterne caricarono il Fiorino"

Una donna vicina all’esplosione: la commissione d’inchiesta scrive una nuova verità sull’attentato del ’93

La strage in via dei Georgofili nel 1993

La strage in via dei Georgofili nel 1993

Firenze, 17 settembre 2022 - Nel Fiorino parcheggiato in via dei Georgofili, che alle 1.04 del 27 maggio 1993 deflagrò, uccise cinque persone e provocò danni incalcolabili al patrimonio artistico degli Uffizi e di Firenze, non c’era soltanto il tritolo della mafia. Ma anche una carica aggiuntiva di esplosivo di tipo militare che mani esterne a Cosa Nostra avrebbero aggiunto sull’autobomba pochi minuti prima che venisse abbandonata sotto la torre dei Pulci, affinché gli effetti fossero ancora più devastanti.

E’ la conclusione a cui sono giunti i membri della II comitato della commissione parlamentare d’inchiesta, presieduto dal senatore Mario Michele Giarrusso, dopo un lavoro durato anni e interrotto dalla fine della legislatura. "Sono risultati importanti e clamorosi. Auspico che il nostro lavoro prosegua", dice Giarrusso.

La commissione - che ha goduto di poteri analoghi a quelli dell’autorità giudiziaria - ha acquisito atti e convocato testimoni, inquirenti, periti. Ha organizzato anche un confronto fra due pentiti, Gaspare Spatuzza e Vincenzo Ferro, membri del gruppo di fuoco, arrivato da Brancaccio, che secondo le sentenze preparò ed eseguì la strage, per chiarire movimenti ed orari di quella notte in cui morirono Fabrizio Nencioni (39 anni) e la moglie Angela Fiume (31 anni) con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (appena 50 giorni di vita) e lo studente 22enne Dario Capolicchio.

Diversamente dalla verità giudiziaria, secondo il comitato, che si è avvalso della consulenza del magistrato Gianfranco Donadio, quella dei Georgofili sarebbe una strage di "falsa bandiera". Le ultime acquisizioni consentirebbero infatti di giungere "ad una ricostruzione alternativa della dinamica di taluni rilevanti profili modali della strage, da ritenersi un accadimento “ibrido“, con ruoli attivi e significativi di soggetti non appartenenti a Cosa Nostra", si legge in un passaggio della relazione votata all’unanimità nei giorni scorsi.

Il Fiorino che passa di mano. Il gruppo di fuoco dei siciliani aveva la sua base logistica a Prato. Intorno alle 19.30, il Fiorino usato per la strage era stato rubato in via della Scala. Il proprietario si accorgerà del furto soltanto la mattina seguente. Nel garage pratese, hanno ricostruito le sentenze, ci vennero caricati un salsicciotto per far da innesco e due sacchi neri di esplosivo, simili per dimensioni alle forme di parmigiano. 60-70 chili per ogni forma, confezionata con il tritolo che, a Palermo, era stato ripescato dal mare e tritato con una mola. Lo stesso tritolo era stato usato anche a Capaci. Ma le perizie di via dei Georgofili, ha sottolineato la commissione che ha convocato anche il consulente della procura, Gianni Giulio Vadalà, non parlano soltanto di tritolo. Nel Fiorino c’erano anche T4, pentrite e nitroglicerina, esplosivi di tipo militare. E per quel "botto", ha stabilito ancora il perito, senza mai essere smentito, serviva una bomba di almeno 250 chili.

La mora di via dei Bardi. Secondo la ricostruzione della Commissione, i circa cento chili mancanti, la “ricarica“ per rendere ancora più letale il Fiorino, sarebbe avvenuta in via dei Bardi. E chi l’avrebbe portata? Qui entra in gioco la “morettina“.

C’è un testimone che, già nel maggio del 1993, aveva raccontato ai carabinieri della stazione Pitti quello che aveva visto, subito prima dell’esplosione, vicino ai Georgofili. Dalla sua testimonianza, venne redatto un primo identikit della donna, dagli stessi carabinieri, e successivamente anche un altro, dalla polizia. Quest’ultimo, non è mai stato diffuso.

Il testimone dimenticato. Ventisette anni dopo - era il 2019 - il testimone è stato ascoltato a lungo nelle stanze della procura generale dai commissari. Vincenzo Barreca, portiere di uno stabile di via dei Bardi (dove all’epoca abitava un magistrato) dieci minuti dopo la mezzanotte vide un’auto color carta da zucchero, cinque porte, guidata da una donna "mora, vestita come una hostess", e un Fiorino fermo più avanti, verso via Guicciardini, con le luci accese. Vide anche prendere in mano da due uomini una borsa di tela azzurra, "forse pesante", e caricarla sul sedile posteriore dell’auto. Poi l’auto ripartì, seguita dal Fiorino. Via dei Georgofili è esattamente dall’altra parte dell’Arno.

La testimonianza di Barreca non è mai entrata nel fascicolo processuale. Il portiere di via dei Bardi non è stato mai inserito neanche nella lista dei testimoni.

Secondo la ricostruzione ufficiale, d’altronde, non c’era “spazio“ per l’operazione del borsone. Le sentenze hanno infatti stabilito, sulla base della testimonianza del pentito Vincenzo Ferro, che il gruppo lasciò la base di Prato intorno a mezzanotte. Quella sera, alla tv, c’era la finale della coppa dei Campioni. Alla guida del Fiorino si mise Cosimo Lo Nigro. Francesco Giuliano guidava una Fiat Uno, con cui fecero ritorno a Prato. Invece, ipotizza la Commissione da una rilettura dell’esame di Ferro al processo, la partenza dal garage di Prato è da collocarsi intorno alle 22.30 . C’è un altro punto chiave del lavoro dei parlamentari che non collima con quanto accertato dalle sentenze. Riguarda l’abbandono del Fiorino in via dei Georgofili. Per la giustizia, fu Cosimo Lo Nigro l’uomo che collocò l’autobomba sull’obbiettivo. Ma per un testimone, che oggi vive in America e che la Commissione non è riuscita ad ascoltare, l’uomo visto allontanarsi era "poco più basso di lui". Il testimone è alto un metro e ottantasette, Lo Nigro un metro e settanta. Resta un altro vuoto, nelle ricostruzioni: chi accese il detonatore?

 

 

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