
Impruneta, il paese delle terrecotte artistiche
Se uno monta in cima a quell’opera di grande ingegno che è la cupola del Brunelleschi per ammirare il panorama che conosciamo a menadito e godere della bellezza che tanto ci piace elogiare e sentire elogiata, quell’uno pensa di vedere - ed effettivamente vede - Firenze. Quello che probabilmente al nostro osservatore sfugge, nonostante si trovi lì davanti ai suoi occhi, sono secoli di tradizione artigiana che prendono fisicamente forma in una specifica lavorazione, la quale dà il carattere predominante alla città vista da lassù: il cotto dell’Impruneta. Sono stati infatti realizzati all’Impruneta ‘i tegoli’ del Centro storico come pure i mattoni che rivestono la famosa cupola di cui sopra. In pratica, quando uno guarda Firenze dall’alto non vede una città in piano, come si sarebbe portati a pensare, ma colli di galestro scavati, lavorati e infornati che ricoprono tetti, raccomodano selciati, impreziosiscono case, palazzi e chiese, alloggiano piante in corti private e camminate cittadine. Di questi tempi, però, le nobili insegne non bastano, e anche il cotto dell’Impruneta è in crisi. Da anni, con maggiore o minore intensità, all’allarme dei produttori si è risposto progettando piani di salvaguardia e di rilancio, ma le parole, al momento, sono state fedeli solo a se stesse, restando parole. I posti di lavoro, nel frattempo, si sono volatilizzati, passando dai 400 del 2010 ai 160 del 2014. Tira una brutta aria sul cotto, ma nonostante ciò qualcuno ancora mantiene intatta la tradizione e conduce la propria impresa in maniera familiare, come un tempo. “Il cotto dell’Impruneta è una produzione specifica, con una storia e una identità ben definite. Noi abbiamo deciso di restare fedeli alla tradizione, sia per quanto riguarda le tecniche produttive che per la gamma di produzione. Crediamo che il prodotto di questa terra abbia un valore da conservare e difendere, prima di tutto. Non crediamo agli stravolgimenti: sarebbe come se a Montalcino decidessero di affrontare una crisi di vendite iniziando a produrre il Brunello bianco”. Siamo alla Mital, ma è più corretto dire che stiamo facendo una visita all’antica fornace della famiglia Mariani, produttori di terracotta dal 1914.
Noi parliamo con Franco, nostra guida alla fornace acquistata nel 1921 dal nonno Anselmo, il fondatore della dinastia. Fermi accanto a un grande orcio grigio che attende di essere cotto, le prime parole sono una breve presentazione dell’epopea familiare. Il nonno Anselmo era libero professionista, una sorta di odierna partita Iva, in quanto offriva il proprio mestiere a più di un datore di lavoro. Poco prima della guerra mondiale, però, fondò una propria società e subito dopo il conflitto, sul fronte del quale si procurò una grave invalidità al braccio destro, comprò una fornace tutta sua. All’Impruneta. Da lì in poi si è trattato di approfondire e migliorare le tecniche di produzione, per poi tramandarle a figli e nipoti, i quali ancora conservano dei quaderni contenenti specifiche tecniche e metodi di lavorazione del prodotto vergati dalla mano di Anselmo. La produzione copre i pezzi classici, compreso il cotto, ma la specializzazione dell’azienda sono le terrecotte artistiche e da giardino: formelle, statue piccole e grandi, orci e vasi decorati. Tutto è fatto a mano e la presenza di una impastatrice per la pizza - usata per impastare l’argilla - in un angolo del magazzino accanto al quale è stoccata la terra, dà come una sensazione di genuino e familiare. Mentre attraversiamo stanze rischiarate dalla luce dei neon, Franco ci spiega che la gran parte della produzione prende la via dell’export e che la specializzazione dei prodotti ha seguito il modificarsi della domanda, cercando di soddisfare soprattutto quella estera. “I pavimenti li facciamo ancora, ma si tratta di casi piuttosto sporadici. L’edilizia è in crisi e il prezzo del prodotto è rimasto fermo negli anni: condizioni che avrebbero reso due volte sconveniente concentrarsi sul cotto”. Il mercato è cambiato molto con l’avvento delle nuove tecnologie, e se prima c’era una catena di grossi distributori ed intermediari, ora questa è stata spezzata da Internet e dalla globalizzazione. Scomparsi i buyer, il rapporto con i clienti è diventato diretto, e fatto di piccoli volumi. Questo comporta che i produttori abbiano sulle poprie spalle tutto l’onere di trovare uno sbocco commerciale per la propria merce, di ‘farsi un mercato’. Un problema, quest’ultimo, che pesa soprattutto sulle aziende piccole, che non hanno abbastanza risorse per esprimere visione e capacità imprenditoriali. Nonostante nell’idea comune quello dell’Impruneta sia, come dice Franco, un “marchio naturale”, non esiste alcun disciplinare che tuteli e promuova la produzione locale.
E’ una cosa abbastanza incredibile, considerata la vocazione e la tradizione del territorio di cui stiamo parlando. Un marchio “Impruneta” impresso sulle terrecotte darebbe sicuramente un’altra visibilità ai prodotti che lo recano e pulirebbe il mercato dalla concorrenza sleale. Ma, e probabilmente è la cosa più importante, un marchio riconosciuto e promosso internazionalmente potrebbe finalmente permettere di cogliere le nuove possibilità che il mondo di oggi offre a chi sa penetrare nei mercati globali. Franco ci spiega che da una quindicina di anni si chiede a Comune e Regione una legge con cui disciplinare la produzione di terracotta: anni in cui la produzione è andata sempre più assottigliandosi, fino ad arrivare alla attuale fase di “fornaci stanche”, durante la quale sono rimaste a galla praticamente solo le famiglie produttrici storiche. Chi invece aveva avviato un’attività tra gli anni ‘90 e l’inizio degli anni ‘00 non ha retto l’urto della crisi e alla fine ha chiuso. Più che a un livello di crescita il mercato si è attestato ad un livello di sopravvivenza, e lo scotto lo pagano, anche in questo caso, i giovani, poiché la congiuntura non permette ad aziende come quella di Franco di prendere in considerazione la possibilità di fare spazio al proprio interno alle nuove leve. Guardando in prospettiva, poi, oltre al problema del marchio ci sarebbe da affrontare un altro argomento che giace regolarmente inevaso, e riguarda la cave presenti e future. La terra imprunetina ha una conformazione caotica che va tutelata, e non abbandonata come sta accadendo. C’è bisogno, oramai da già tanto tempo, di un piano strutturale programmato e programmatico per i prossimi 20 anni con cui prevedere l’escavazione di nuove terre e nuove cave. Le scelte politiche sono state, e lo saranno sempre più, fondamentali se non fatte e pensate con lungimiranza per mantenere una storia secolare come questa. C’è bisogno di scelte fatte per il futuro e le nuove generazioni, con occhio di tutela e riguardo per gli attuali lavoratori. Usciamo a fare due passi nel giardino disseminato di orci, vasi e statue di ogni fatta, e in mezzo al proliferare Franco ce ne indica uno che si discosta completamente dagli altri: è un vaso di stile contemporaneo realizzato dalla Mital su commissione e disegno di importanti clienti statunitensi che hanno mandato qui, in paese, una équipe di propri tecnici per seguire i lavori. Una bella esperienza, di quelle che piacerebbe si ripresentassero più spesso, ma che è difficile riuscire a procurarsi. In mezzo al giardino compare una cliente, che parla italiano con accento straniero. Saluta Franco da lontano e lui di rimando la rassicura che un minuto soltanto e la raggiungerà. A noi non resta che salutare e tornare a casa, quella casa che un po’ proviene anche da qui.
Testo di Lapo Cecconi, Gianluigi Visciglia e Jacopo Naldi. Foto di Eva Bagnoli.