Addio Sergio Poggianti. Nel suo frappè versava amicizia e amore per il lavoro

Dal 1975 gestiva il chiosco di viale Amendola: si è spento a 86 anni. Attività storica, era il ritrovo delle compagnie degli anni Ottanta. L’attività tramandata alla figlia: "Ma quel chiosco rispecchiava lui"

Sergio Poggianti versa il frappè dietro al suo bancone

Sergio Poggianti versa il frappè dietro al suo bancone

Firenze, 9 dicembre 2022 - Dal 1975, Sergio Poggianti mescolava il latte con la frutta, il ghiaccio e lo zucchero nel suo chiosco di viale Amendola. Il risultato non era soltanto l’inconfondibile frappè che lo ha reso uno dei personaggi di una Firenze d’altri tempi, ma una shakerata di tradizione, amicizia e divertimento.

Sergio Poggianti adesso non c’è più. Si è spento all’età di 86 anni. Oggi alle 15, alla chiesa di San Giuliano a Settimo, a Scandicci, si celebreranno le sue esequie. Non lo piange soltanto la sua famiglia, ma tutti quelli che con il frappè di Sergio, o semplicemente con una sosta al suo chiosco, sono diventati grandi.

Era il 1975 quando Poggianti, all’età di 39 anni, con la moglie Fiorenza avviò l’attività. Lui faceva il tintore, ma coltivava il sogno di qualcosa di suo e gli si presentò l’occasione di rilevare quel localino minuscolo. Lei era una ricamatrice, e ci mise l’arte del suo mestiere nell’ornare i tabelloni dei menu. Una delle tante particolarità che hanno reso unico e inconfondibile, in quasi cinquant’anni, quel posto tirato su giorno dopo giorno.

Dedizione al lavoro e la passione, trasformarono, nei ruggenti anni Ottanta, il chiosco del frappè del Poggianti nel ritrovo di decine di compagnie. «Le Vespe e i Cagiva ingrombravano la strada vicino all’incrocio con viale Colombo, tanto che il nostro chiosco venne spostato più avanti", ricorda la figlia Debora.

La posizione, anche qualche metro più in là, restò strategica. L’estate in particolare era una tappa fissa di una Firenze che non aveva mai voglia di andare a letto e che all’edicola accanto al chiosco aspettava la prima edizione de La Nazione.

Per i gestori, quelle giornate lunghissime significavano maratone di fatica e sacrifici, anche famigliari: "Per vedere i nostri genitori, io e mio fratello Luca partivamo da Scandicci", aggiunge ancora la figlia. Dal “Bologna“, scendevano i ragazzi con i pattini, bevevano e risalivano al piazzale.

Il vocione del barista, babbo buono di più generazioni, smistava la fila, ma veniva coperta dalla musica degli stereo. O dal rombo dei motorini smarmittati. Ciuffi cotonati e gel, mode e tendenze, frullavano davanti al chiosco come la macchine sul viale.

E dentro i bicchieroni di latte dolcissimo, versato nei calici di vetro, resta il sapore di quell’epoca spensierata. Un sapere che non passa con gli anni, testimonia Debora: "Tante persone vengono ancora oggi, mi chiedono del mio babbo, raccontano le loro storie, le amicizie, gli amori sbocciati qui, davanti a questo bancone".

Sergio è rimasto fino all’ultimo il titolare dell’attività e anche da pensionato ha continuato a stare dietro al bancone, fino a che ha potuto. E ora c’è lei, Debora, sua figlia: fedele custode di una promessa d’amore al babbo, con il timore di non essere brava quanto lui. "Per lui era più di un lavoro. Il chiosco era lui".

stefano brogioni

 

 

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