Esecuzioni su larga scala, impunità dei colpevoli, parenti in lutto perseguitati: il quadro in Iran è desolante, a due anni da una rivolta popolare che molti speravano segnasse una svolta nella storia della Repubblica islamica. In esilio o dietro le sbarre, gli attivisti anti-regime vogliono comunque credere che il movimento di protesta nato dopo la morte in carcere di Mahsa Amini - una ventiduenne curdo iraniana arrestata nel 2022 per non aver rispettato il rigido codice di abbigliamento islamico - non sia stato vano. Per celebrare la sua morte, il 16 settembre di due anni fa, e il secondo anniversario della nascita del movimento ‘Donna, vita, Libertà’, trentaquattro donne, prigioniere politiche nel terribile carcere iraniano di Evin, hanno iniziato lo sciopero della fame. Una notizia diffusa dalla Fondazione del Premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, che si è battuta contro l’obbligo di indossare l’hijab e la pena di morte in Iran e che si trova anch’ella ad Evin dal novembre del 2021: "Ribadiamo il nostro impegno per l’affermazione della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza e per la sconfitta del dispotismo teocratico. Oggi alziamo più forte la nostra voce e rafforziamo la nostra determinazione". Anche quest’anno la Polizia Morale iraniana ha vietato ogni assembramento sulla sua tomba nel cimitero Aychi di Saqqez, nel nord est del Paese.
CronacaSciopero della fame di 34 detenute politiche a due anni dalla morte di Mahsa Amini