Ritrovata l’epigrafe scomparsa nel ’44

Era in casa di un antiquario. Prima la segnalazione di un esperto poi le indagini dei carabinieri: denunciato

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di Fabrizio Morviducci

Era il 4 agosto 1944: le truppe neozelandesi avevano appena liberato Scandicci. La piana però era ancora in mano tedesca. E come per i ponti di Firenze, i soldati con la svastica sul petto, decisero di far saltare anche le torri della Badia di Settimo, il Colombaione e il campanile di oltre 40 metri. Quando si posarono le polveri, dopo l’immane esplosione, ai badiani apparve la loro abbazia devastata. Le macerie erano disseminate ovunque per i campi; in mezzo a tanta distruzione e disperazione però qualcuno decise di approfittarsene e sottrasse un pezzo di marmo, un’epigrafe, che probabilmente biancheggiava in mezzo al grigio delle pietre smozzicate dal tritolo. L’epigrafe sparì. Se ne persero completamente le tracce; il campanile venne ricostruito grazie all’interessamento dell’allora parroco don Furno Cecchi. A inaugurarlo arrivò il presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.

Ma di quel bianco marmo nessuna notizia fino a qualche mese fa. E come l’ostinazione di don Cecchi portò alla ricostruzione del campanile, così l’ostinazione del parroco attuale, don Carlo Maurizi ha determinato il ritorno ‘a casa’ del manufatto marmoreo. Don Carlo ha raccolto la testimonianza di uno studioso di arte chiamato ad analizzare appunto l’epigrafe che si trovava poco lontano da dove fu sottratta: a casa di un appassionato d’antiquariato nell’area fiorentina. Ricevuta la segnalazione l’ha girata ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Firenze, guidati dal capitano Claudio Mauti, che in cinque mesi di indagini sono riusciti a recuperare il pezzo e a riportarlo nella chiesa abbaziale. Si tratta di una lapide preziosa perché risale ai primi dell’anno Mille e testimonia il potere dei conti Cadolingi, costruttori della Badia di Settimo. Epigrafi analoghe sono state catalogate dagli studiosi in un tratto di territorio che va dall’Appennino bolognese fino alla zona di Siena. Le indagini della procura sono ancora in corso. I militari stanno studiando in particolare le vie attraverso le quali l’uomo è venuto in possesso del manufatto marmoreo.

C’è da capire se lo stesso sia rimasto sempre nell’area fiorentina, nel circuito antiquario della zona, oppure se sia stato portato via per qualche altra strada e sempre attraverso queste strade è tornato poi indietro nell’area fiorentina. Dopo il ritrovamento comincia forse la parte più avvincente delle indagini: camminare a ritroso nel tempo per capire chi è il responsabile della sottrazione dell’opera. La persona che la custodiva nella sua abitazione è stata comunque denunciata per ricettazione. La Badia di Settimo era uno dei fari della cristianità. I monaci custodivano i sigilli della repubblica fiorentina e avevano terreni in buona parte della Toscana. Il porto fluviale di Badia a Settimo, gestito sempre dai conversi dell’abbazia gestiva il commercio verso la città e verso il mare. Dopo il sacco napoleonico dei beni della chiesa, venne smembrata. Tante sue opere finirono in mani private.

Don Carlo si è dato da fare per cercare di recuperare, restaurare, riportare tutte le opere dentro l’abbazia. Ma il suo capolavoro è stato favorire l’acquisto della parte privata dell’abbazia da parte del magnate scandiccese della logistica Paolo Nocentini. Da allora in quest’ala sfuggita al degrado si stanno facendo scavi e sondaggi con metodo archeologico, proprio per ritrovare le vecchie altezze e recuperare tutti i beni sepolti nei secoli dalle piene dell’Arno.

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