Dice Elly Schlein che il cambiamento non è un pranzo di gala, e ha ragione. Probabilmente, non dovrebbe essere però nemmeno quel pic nic di pietanze inaccostabili messo in mostra nell’ultimo voto amministrativo. Sì, a sette giorni dal voto che in Toscana ha decretato una sconfitta durissima per la sinistra, il Pd non sembra infatti avere colto fino in fondo uno dei segnali più netti emersi dalla scampagnata confusa delle urne. Ovvero che rincorrere il Movimento 5 stelle per la costruzione in regione di un ipotetico campo largo, è un suicidio sia elettorale che politico. Da queste parti infatti, non solo per scelte amministrative ma anche per cultura e tradizione del voto, i grillini sono da sempre controparte antagonista del Pd. Per questo, qualunque possa essere la scelta dei vertici del movimento, ho difficoltà a vedere un elettore 5 stelle fare la croce sul simbolo del partito che, per costui, qui in Toscana rappresenta più di ogni altro l’idea del Potere da abbattere. Ciò lo si vede bene dal voto di Pisa e di Pietrasanta, dove il campo largo non ha portato a niente se non a lasciare al governo il centrodestra.
E ciò è suggerito con ancora maggior forza dal voto di Campi Bisenzio, dove invece l’alleanza fra 5 stelle e sinistra estrema ha funzionato eccome. Perché è in quel programma di "No" a tutto che il voto reazionario grillino trova affinità e dunque attrazione. Tutto ciò, in vista dell’appuntamento elettorale che fra un anno rinnoverà il Comune di Firenze, dovrebbe essere motivo di riflessione da parte della classe dirigente del Pd. Legarsi con chi, non solo non porta voti ma, allo stesso tempo, condizionerebbe pesantemente verso lo stallo qualsiasi programma di governo, sembrerebbe davvero un suicidio politico. Il guaio è che la nuova segreteria schleiniana sembra ancora guardare con più simpatia a questo arcipelago del "No" che non a ricostruire un rapporto forte di sviluppo con la componente riformista di centro. Ma questo può essere suicida, non strano. Perché a eleggere la Schlein e i suoi alla guida del Pd non sono stati gli iscritti dem ma proprio quegli esterni che, con buona probabilità, a Campi non hanno votato Pd ma il suo avversario. Uno dei tanti paradossi di un partito che, a oggi, non sembra avere chiaro a quale tavolo sedersi, altro che pranzi di gala.