Qui Firenze La carica dei 32mila Cori, musica e un sogno spezzato

Un Franchi da brividi si trasforma nel grande cuore viola, fuori la città è in ginocchio davanti ai maxi schermi. La beffa all’ultimo minuto manda in frantumi la speranza. Ma la lezione dei nostri tifosi incanta tutti.

Qui Firenze La carica dei 32mila  Cori, musica e un sogno spezzato

Qui Firenze La carica dei 32mila Cori, musica e un sogno spezzato

di Olga Mugnaini

Era iniziata con un solo colore nel cielo di Firenze, viola, come le bandiere, i fumogeni, le maglie di tutti i giocatori passati dalla squadra nei decenni, perché questa doveva essere la vittoria che entrava nella storia. E invece è stata la notte del “mai una gioia“, dell’ennesima occasione mancata, del riscatto infranto al novantesimo, con triplice fischio che arriva come tre pugnalate al cuore vola. Perchè no, non si può perdere così. E la bandiera del West Ham che ha sventolato al posto del giglio. Fine del sogno Conference League.

Era cominciata come una grande festa, con i trentaduemila del Franchi, che dal Campo di Marte hanno fatto arrivare i cori, gli applausi e l’entusiasmo fino a Praga, per abbracciare i ragazzi di Italiano. Con lui hanno sofferto, fischiato, imprecato per le punizioni non concesse, per il rigore subito e per quello non concesso.

"Chi non salta un inglese è, è, è... ", uno dei tanti cori dall’inizio alla fine, dalla Fiesole fino alla curva Marione, la sola rimasta vuota.

Il sogno era iniziato nel pomeriggio fra panini con la porchetta, birre e uno schieramento delle forze di polizia come neanche per una partita con la Juve. Ma non importa, chi va allo stadio lo sa, e anche stavolta sono stati sopportati tornelli e code, tutti in fila, con addosso in ordine sparso tutta la collezione delle maglie della Fiorentina, dalle storiche di Batistuta a quelle di Jovic, fra bambini nonni, zii e nipoti, in una passione trasversale che unisce tutte le generazioni di fiorentini, in un clima di sana euforia, come dovrebbe essere dentro lo stadio in un mondo ideale.

Ma la festa finale non c’è stata.

"Sono nato il 6 giugno del 1961 e ci ho messo una vita per sperare di vedere la Fiorentina vincere in Europa. Non ce l’ho fatta neanche stavolta", è l’amarezza di Gianni, che alla fine arrotala la bandiera viola e lascia gli spalti prima del fischio finale.

Eppure ci aveva creduto il popolo viola. Si è sgolato quando capitan Biraghi è stato ferito alla testa da un oggetto tirato dalle tribune e medicato con una fascia viola, ancora più eroico di prima in campo.

La sensazione di esseri lì, all’Eden Arena, è tale che quando sui maxi schermi è comparso il tunnel degli spogliatoi e si sono viste le maglie bianco arancione del West Ham sono partiti cori e fischi per i giocatori inglesi, come se quel frastuono potesse arrivare fino al campo praghese.

E poi l’urlo di gioia e a seguire la delusione del gol annullato per fuorigioco allo scadere del primo tempo, compensato in parte dallo spettacolo di laser, petardi, fuochi d’artificio e musica durante l’intervallo, a pregustare una festa vera che tutti aspettavano da anni. Ma che non è arrivata. E ancora la magia delle torce dei telefonici nello stadio al buio illuminato solo dalla torre di maratona che brillava di viola.

Arriva il gelo al ’42, col Franchi che piomba nel silenzio per il rigore segnato dagli inglese. Ma una manciata di minuti e c’è tempo per esultare, si riaccende la speranza con Bonaventura al ’46: ci si abbraccia tutti, anche con chi che avevi sfanculato due minuti prima perché ti aveva rovesciato la birra addosso. In curva Fiesole scoppiano i fuochi d’artificio rossi e ancora "Chi non salta un inglese è...". Ma il ’90 è la gelata definitiva. Il sogno svanisce. Esplode solo qualche petardo. I fuochi d’artificio preparati per la festa sono messi via, serviranno il 24 giugno per San Giovanni. Restano le lacrime. Tante. Troppe.

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