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Quelle vite interrotte : "In trappola come animali. Lavoravano per i loro figli"

Gli ultimi corpi estratti appartengono a tre operai nordafricani di 53, 24 e 43 anni. Dal giovane carpentiere fino al padre di famiglia. Ecco chi erano Muhamed, Haidar e Mohamed.

Quelle vite interrotte : "In trappola come animali. Lavoravano per i loro figli"

di Pietro Mecarozzi

Una linea rosso sangue lega nella tragedia la Lombardia al Nord Africa. La prima, terra che aveva dato accoglienza alle quattro vittime (anche se di una non è stato ancora estratto il corpo) della strage che si è consumata nel cantiere dell’Esselunga di via Mariti. La seconda, terra di origine dei quattro uomini (il quinto è Luigi Coclite, originario di Teramo ma residente a Collesalvetti) che con quel lavoro da operai riuscivano a sfamare le proprie famiglie, che adesso li piangono con lacrime misto dolore e incredulità. I loro nomi sono: Muhamed Toukabri, tunisino, 53 anni, Mohamed El Farhane, 24 anni, originario del Marocco con il connazionale Taoufik Haidar, 43 anni. Ancora disperso è invece Bouzekri Rahimi, 56 anni, anche se le speranze di ritrovarlo vivo si affievoliscono di ora in ora.

Tutti e quattro gli operai hanno vissuto, o in alcuni casi vivevano ancora, a Palazzolo sull’Oglio, l’ultimo Comune della provincia di Brescia al confine con quella di Bergamo. "Mio zio non meritava un fine del genere – tuona Ayoub, nipote di Haidar –, era una brava persona, lavorava per mantenere moglie e figli". Il giovane è partito da Perugia alla volta di Firenze: nel sedile accanto c’è la madre, la sorella della vittima.

"Non riesce ancora a crederci – spiega Ayoub – non sa come descrivere questo dolore. Ci sentivamo spesso al telefono, si lamentava che il datore di lavoro era in ritardo con i pagamenti. Che tragedia". Haidar era in Italia da almeno 15 anni, per otto anni aveva preso casa a Palazzolo, da poco si era trasferito nella Bergamasca, a Chiuduno e fino allo scorso novembre 2023 era iscritto alla Fillea Cgl di Bergamo.

Anche El Farhane risulta essere vissuto a Palazzolo per un paio di anni, e pare essersi spostato nella Bergamasca di recente. Idem gli altri operai. Alla macelleria Assalam di Laghlimi Jaouad in via Sarioletto a Palazzolo, dove ieri è stata organizzata una raccolta fondi per aiutare le famiglie delle vittime, tutti li conoscevano bene.

"Venivano sempre qui a fare la spesa, è un disastro quello che è successo", racconta commosso il titolare, Jaouad. "Lavoravano per un’azienda edile di Chiari – continua il macellaio –. Partivano in squadra tutti i lunedì mattina per andare in trasferta a lavorare e rientravano a casa il venerdì sera". Intanto, le famiglie delle vittime ieri mattina si sono presentate davanti ai cancelli del cantiere, per poi raggiungere l’ospedale di Careggi.

"Non sapevo neanche che lavorasse qui", sono le poche parole balbettanti di uno dei parenti, così sconvolto da non ricordare neanche l’età del nipote. Come le vittime, i familiari sono partiti dal Nord Italia e si fermeranno a Firenze fino a quando non gli sarà permesso di vedere i corpi dei loro cari e organizzare il trasporto della salma nei paesi d’origine, dove, spiegano, saranno seppelliti.