EMANUELE BALDI
Cronaca

Quella maledetta finale con la Juve: "Solo la loro arroganza ci sconfisse. Da allora sono viola più che mai"

Il 2 maggio l’andata della finale coi bianconeri che piegarono i gigliati nei ricordi di Celeste Pin "Casiraghi mi buttò a terra graffiandomi e segnò. Poi mi rise in faccia e disse ’Noi siamo la Juventus’".

Il 2 maggio l’andata della finale coi bianconeri che piegarono i gigliati nei ricordi di Celeste Pin "Casiraghi mi buttò a terra graffiandomi e segnò. Poi mi rise in faccia e disse ’Noi siamo la Juventus’".

Il 2 maggio l’andata della finale coi bianconeri che piegarono i gigliati nei ricordi di Celeste Pin "Casiraghi mi buttò a terra graffiandomi e segnò. Poi mi rise in faccia e disse ’Noi siamo la Juventus’".

"Dopo quel loro gol irregolare si avvicinò a centrocampo ridendomi in faccia e mi disse: ’Ricordati che noi siamo la Juve...". Il ghigno cattivo e imberbe di Pierluigi Casiraghi, il fin troppo scaltro attaccante bianconero anni Novanta, se non altro cucì per sempre sotto la pelle di Celeste Pin l’amore per il viola nella sua declinazione più sublime e dannata.

Di certo il Casiraghi, un minuto e spiccioli prima, sotto la pelle gli aveva ficcato le unghie – livido in diretta Rai post partita docet – in quella grossolana mischia in area di rigore dove il Nostro, arcigno e gentile difensore, fu scaraventato per terra con la tracotanza di chi tutto può dall’attaccante della Juve che un attimo dopo sforbiciò il pallone alle spalle di Landucci. Sembra un banale aneddoto di anni ormai polverosi.

È invece uno snodo chiave nel percorso d’amore per la Fiorentina di chi è nato con le gambe ammollo in Arno.

Riavvolgiamo il nastro per chi – beato lui – non ha ancora neanche un capello bianco in testa. Trentacinque anni fa spaccati, 2 maggio 1990, stadio comunale di Torino. La Fiorentina sfida la Juve nella sua tana – che non è ancora l’algida cattedrale nel deserto del Delle Alpi – per l’andata della finale di Coppa Uefa. Era una Viola strampalata – bellissima e scomposta – capace di accelerare al massimo i battiti cardiaci dei suoi tifosi salvandosi in campionato all’ultimo tuffo con Ciccio Graziani – e il suo impermeabile – in panca ("Non sono io che imito Bekenbauer, è lui che copia me...") e di inventarsi al contempo una corsa magica in Europa, tra l’aria marmata di Kiev e il prato verde di Brema dove Nappi fece la foca. Una corsa – puntellata dai tocchi divini di Roberto Baggio che ancora il Codino non ce l’ha – che la portò di fronte alla Signora con la pelle ancora marchiata a sangue – di nuovo le unghie del potere – per la ferita della scudetto perso nel 1982.

Pronti via e Galia infila subito Landucci. Uno a zero per loro. Un pugno di minuti e Alberto Di Chiara guizza sulla fascia, la mette in metto e Renatino Buso buca Tacconi. Un pareggio sontuoso, la carezza di un sogno. Che resta tale, appunto. La Fiorentina gioca alla grande, ma la Juve è una Grande di quegli anni. Tiene botta. Giusto il tempo di arrivare alla pugnalata. Il vantaggio bianconero matura nell’azione di alcune righe fa con la Fiorentina che schiuma rabbia e i bianconeri che le ridono in faccia. Ci si mette poi Landucci con la papera nervosa su tiro di De Agostini a far decollare la Juve. Tre a uno. "Ero furioso, io che sono sempre calmo. – racconta Celeste – Lasciamo perdere quel gol di Casiraghi per un attimo. Era tutto contro di noi quella sera... Il clima, la loro arroganza, Baggio che non era lui". Perché non era lui? Perché sapeva già che il suo domani era con quella casacca bianca e nera "ma io ero amico di Roby e lui soffriva perché voleva restare a Firenze in tutti i modi".

C’era ancora il ritorno sì, ma la trasferta oceanica dei fiorentini ad Avellino – il campo dei viola (che poi era Perugia perché il Franchi era in restyling...) era stato squalificato – non fu altro che un atto d’amore disperato e dovuto di un popolo orgoglioso e testardo. "Sapevamo già che tutto era scritto" dice Pin.

In Campania finì zero a zero. Coppa a loro, a noi l’ira funesta. "I giocatori della Juve cantavano ’Chi non salta fiorentino è’". Poi è vero il tempo guarisce più o meno tutto. Ma forse ora qualche ventenne capirà perché contro la Juve, da queste parti, non sarà mai una partita come le altre.