
Ivan Cappellari e Anna Lia Chiti al traguardo di una gara podistica
Firenze, 31 luglio 2025 – C’è chi vede con i propri occhi e chi con gli occhi di un’altra. E poi c’è chi vede con la vista e chi con l’udito. E infine c’è chi ha deciso che quell’incidente capitato da adolescente, che lo ha reso cieco, non gli avrebbe impedito di essere uno sportivo.
La storia è quella di Ivan Cappellari, 42 anni, piemontese trapiantato a Firenze da vent’anni. L’incidente, la cecità, la decisione di dedicarsi al lancio del martello e poi l’arrivo nella città del Giglio, dove esercita la professione di fisioterapista. Nella strada dove lavora, via Bocchi, la stessa dove ha sede la Uisp, c’è il bar di Anna Lia Chiti, 65 anni. «Fiorentina da sempre», precisa, anche se pistoiese di nascita. Lei corre da anni: il podismo è la sua passione. Quando Ivan va a prendere il caffè iniziano a parlare, comincia la confidenza, spunta l’idea: corriamo insieme. Perché Ivan ha due passioni: la musica (suona la tromba e canta nel coro della Martinella del Cai: «Mi ricorda l’ambiente in cui sono cresciuto») e lo sport.
E così Ivan inizia a farsi guidare da Anna Lia: è lei a indicare gli ostacoli da evitare. Una frasca, un sasso, una pozza fangosa. Già, perché il duo Cappellari-Chiti si autodefinisce «un po’ grullo» e quindi decide di non limitarsi alle corse «comode», su strada, ma di fare mezze maratone, maratone, perfino ultramaratone: si arriva a 100 chilometri. Il prossimo appuntamento in calendario è l’Elba Legend Run di ottobre, 65 km su strade non proprio agevoli.
Come funziona? «Per me – dice Cappellari – le corse fuoristrada hanno tutto un altro significato. Ci sono il vento, i profumi, lo scroscio dei corsi d’acqua: posso provare tante sensazioni belle rispetto alla corsa su strada. Ma sono anche molto più difficili e insidiose. Con Anna Lia abbiamo iniziato a correre sui sentieri tenendoci per mano, ma non era pratico. Siamo passati all’uso dei bastoncini a binario (come le vecchie locomotive a vapore, ndr) ma a volte ero pesante da condurre. Allora le ho detto: tu corri, io seguo, posso ascoltare il suono dei tuoi passi e le tue indicazioni mentre con il bastone sento il terreno. Da lì sono iniziati i chilometri».
Spiega Chiti: «E’ un parlare continuo, corsa dopo corsa ci siamo affinati e adesso basta una parola. Alla fine sono emerse perfino parole in codice per capirsi; anche il tono che uso fa capire la rilevanza della mia indicazione. Certo, credetemi: non è facile come a raccontarla. Richiede un grande sforzo mentale. Però questo correre insieme mi dà tanto, quando sono sola è più faticoso. Il dover essere concentrata invece mi solleva nelle difficoltà». «Bisogna saper isolare i rumori – riprende Ivan – perché a volte basta il vento a cambiare tutto, oppure se piove il rumore del cappuccio diventa il fattore di disturbo...».
Cappellari è un esempio anche e soprattutto per quei giovani che pensano di non poter fare sport in caso di disabilità. «Ma io dico sempre – spiega – che se abbiamo un problema vuol dire che c’è una soluzione. Se dovessi dare un consiglio a un giovane gli direi: finché non si prova, non si fallisce, non si riprova, allora non si può dire non ci riesco. Bisogna provare, incaponirsi e non pensare che riuscirà tutto alla prima».
«Anna Lia – conclude Ivan – è caparbia e tenace come pochi». «E Ivan – ribatte lei – è un atleta vero, corre bene. Ha mille attenzioni e un intuito che molti uomini non hanno». Amici, podisti ed esempi da seguire.