
Pacciani La cartuccia nell’orto. L’ombra di una manovra oscura
FIRENZE
Da prova regina a simbolo di una manovra oscura. La cartuccia Winchester serie H che spuntò dalla maxi perquisizione della primavera del 1992 a casa di Pietro Pacciani parla. Dice che in quella stagione c’è stato qualcosa di poco chiaro. Che qualcuno ha voluto falsificare le prove o calcare la mano verso il sospettato del momento.
E’ anche sulla cartuccia dell’orto, che gli avvocati Vieri Adriani e Gaetano Pacchi si batteranno, affinchè il filone - contro ignoti - per i delitti del mostro di Firenze, non venga chiuso, forse per sempre.
Il procedimento che oggi approda davanti al gup Anna Liguori è uno stralcio del fascicolo aperto nei confronti dell’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti: pista investigativa nata da un esposto dello stesso Adriani, su cui il pm Paolo Canessa aveva creduto e indagato a lungo. Ma dopo il pensionamento di Canessa, l’inchiesta non ha avuto seguito e nel 2020 è stata decisa l’archiviazione.
Nell’ambito di quel procedimento, tuttavia, sono stati disposti alcuni accertamenti di particolare importanza. Tra questi, l’analisi di tutti i reperti balistici disponibili, affidate al consulente della procura Paride Minervini. Oltre a bossoli e ogive recuperate dalle scene del crimine, c’era la cartuccia dell’orto. Arrugginita ma luccicante quando il capo della Sam Ruggero Perugini la estrasse dalla terra che riempiva un buco di un paletto da vigna, a Minervini quel proiettile inesploso si è presentato sezionato in più parti per i precedenti accertamenti degli anni ’90. Che avevano concluso per una compatibilità tra i segni presenti sulla cartuccia e le altre impronte sui bossoli sparati nei delitti, consegnando così un importante elemento in mano all’accusa.
Ma era davvero il segno dell’unghia estrattrice della Beretta, del mostro quello analizzato sulla cartuccia spuntata dall’orto?
Il consulente Minervini è sicuro: no. Secondo il consulente, quel segno è stato artefatto. E come? Forse con un martellino, utilizzato per imprimere sul reperto qualcosa che potesse riprodurre certi tratti inconfondibili dell’unghia estrattrice di una calibro 22, probabilmente Beretta, mai ritrovata.
Sono conclusioni sconvolgenti. Una successiva consulenza, affidata stavolta ai Ris, va più cauta sulla natura di quei segni, ma conferma che quella cartuccia non sia mai stata alloggiata in una Beretta della serie 70 come quella del killer.
E il graffio sul collarino? L’esame al microscopio non ha rilevato la presenza di elementi oggettivi "che dimostrino o escludano", la manomissione ipotizzata da Minervini. Tuttavia, le dimensioni e la forma “a stampo“ del graffio, grande 1,3-1,4 milimetri, mal si conciliano con l’estrattore di una semiautomatica di calibro 22. Nel momento in cui è stata chiesta l’archiviazione, il procuratore Luca Turco (oggi sostituito nella conduzione dell’inchiesta dalle colleghe Ornella Galeotti e Beatrice Giunti) chiese ai Ris di chiarire quale tipo di pistola potrebbe aver prodotto quei segni sulla cartuccia di Pacciani. Gli esiti di questa nuova analisi non sono noti agli avvocati. Ma secondo indiscrezioni si apprende che anche l’ultimo accertamento avrebbe confermato la grande macchinazione. E chi l’avrebbe ordita? I legali chiederanno che si indaghi ancora, anche su questo.
stefano brogioni