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Open, la Cassazione accusa "Perquisizioni esagerate"

I giudici annullano per la seconda volta i sequestri della procura ai finanziatori della Fondazione renziana. Nel mirino il blitz all’alba a casa della famiglia Aleotti

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Il sequestro di telefoni, computer, chiavette usb ai quattro membri della famiglia Aleotti che avevano finanziato la Fondazione Open, è stato un provvedimento "onnivoro e invasivo", che ha consentito alla guardia di finanza e di conseguenza alla procura di Firenze di acquisire "una serie indifferenziata di dati personali", che non ha rispettato i criteri di pertinenza e proporzionalità.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nelle motivazioni dell’ordinanza con la quale ha annullato senza rinvio i sequestri di telefoni, computer e materiali informativi eseguiti a carico dei fratelli Alberto Giovanni, Lucia e Benedetta Aleotti e della madre Massimiliana Landini, vedova di Alberto Sergio Aleotti, presidente della multinazionale farmaceutica Menarini di Firenze. Nessuno di loro era indagato, ma come altri finanziatori della fondazione presieduta dall’avvocato Alberto Bianchi che organizzava ogni anno la "Leopolda", all’alba del 20 novembre dell’anno scorso, furono destinatari di una "visita" delle fiamme gialle presso ogni residenza dei quattro membri della famiglia. Furono sequestrate le mail aziendali memorizzate in un paio di chiavette, quelle personali, gli smartphone. Gli avvocati degli Aleotti, Alessandro Traversi, Franco Coppi, Michela Vecchi e Gian Paolo Del Sasso, fecero primo ricorso al tribunale del Riesame contro la legittimità delle perquisizioni. Poi, dopo aver incassato un rigetto (il 16 dicembre 2019), hanno fatto ricorso per Cassazione. E hanno avuto ragione.

La procura giustificò l’"ampiezza" delle perquisizioni con la ricerca di incroci professionali con l’avvocato Bianchi, in quel momento il principale indagato - assieme a lui il manager Marco Carrai - al quale oltre al finanziamento illecito era (ed è ancora oggi) contestato anche il traffico d’influenze illecite. E comunque precisò che le ricerche di dati e le conseguenti estrazioni sarebbero avvenute tramite l’utilizzo di parole chiave

Il sequestro, rilevano i giudici della Suprema Corte, è stato "strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva, rispetto al fatto per cui si investigava, rispetto al ruolo che in detto fatto avrebbero avuto gli odierni ricorrenti, rispetto al suo oggetto; un sequestro che finisce per assumere, sul piano quantitativo e qualitativo, una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato".

I giudici della Sesta Sezione, infine, bacchettano anche i colleghi del Riesame di Firenze che non avrebbero fatto "corretta applicazione" dei princìpi riguardo alla trattazione dei dati sequestrati "a persone estranee al reato per cui si procede", come in questo caso.

Sul capitolo finanziatori, Renzi incassa una vittoria netta nel suo duello con i magistrati fiorentini. Resta più intricata la questione della "qualificazione" della fondazione Open e dunque del reato di finanziamento illecito che viene agganciato qualora essa venga ritenuta un’articolazione della corrente renziana del Partito Democratico. Per quest’ultima questione, c’un ricorso pendente al Riesame, dopo il rimbalzo dalla Cassazione. L’hanno nuovamente discussa i difensori di Marco Carrai, Filippo Cei e Massimo Dinoia, contro il pm Antonino Nastasi.

E’ una questione cruciale, per le fondamenta dell’inchiesta. Che comunque promette altre scintille.