Mostro di Firenze, dal rebus dna rispunta la pista sarda

Dagli accertamenti genetici sui reperti tutti profili diversi da quelli dei protagonisti. Unica eccezione: le tracce di Salvatore Vinci

1985, delitto degli Scopeti (foto Archivio New Press Photo)

1985, delitto degli Scopeti (foto Archivio New Press Photo)

Firenze, 28 novembre 2019 - Tutti profili differenti, a eccezione di uno. L’unica certezza, dagli accertamenti genetici disposti dalla procura nell’ultima inchiesta sui delitti del mostro di Firenze, riguarda due stracci a fiori, contenuti in una borsa di paglia da donna. L’esito del test, rimanda a quel 1984, anno del settimo duplice omicidio della tremenda scia sanguinaria. In piena “pista sarda”, dopo che la calibro 22 aveva trucidato a Vicchio Claudio Stefanacci e Pia Rontini, asportando a quest’ultima oltre al pube, pure la mammella sinistra, i carabinieri piombarono a casa di Salvatore Vinci. Dall’armadio spuntò quella borsa da donna. Dentro c’erano alcuni cenci. Uno è sporco di sangue. Sembra aver avvolto una pistola. Cominciano gli accertamenti.

Sia lui che il fratello Francesco erano stati gli amanti di Barbara Locci, l’ape regina ammazzata a Signa con l’amante Antonio Lo Bianco. I carabinieri, che nel gennaio precedente avevano arrestato Giovanni Mele e Piero Mucciarini, erano convinti che in quel clan ci fosse la soluzione al rebus. Oggi, qualcuno continua a pensarlo, nonostante le altre verità giudiziarie scritte. E la prova dello straccio rafforza le convinzioni.

Ma riavvolgiamo il nastro. Alcuni anni dopo il sequestro, con un successivo delitto che fa perdere di consistenza alla “pista sarda”, lo straccio insanguinato e sporco di sparo, va a Londra, perché il giudice Mario Rotella spera che in Inghilterra, dove le tecniche sulla ricerca del dna sono più avanz ate che da noi, possano fornire indicazioni utili. Ma quella di allora non era la scienza di oggi. E infatti quella perizia risolse poco, in assenza, poi, dei dna delle vittime del serial killer.

Oggi quello straccio sarebbe stato utilissimo. Ma non c’è più. E’ andato perso. I carabinieri del Ros hanno provato ugualmente a fare un miracolo. E ci sono riusciti. Nell’archivio del Ris di Parma è rimasto il materiale sequestrato a Salvatore Vinci che non venne mandato in Inghilterra. Con le tecniche di oggi, è possibile ricavare qualcosa. Ad esempio tracce dello stesso Vinci, che all’epoca, ai carabinieri che gli chiedevano conto di quelle stoffe insanguinate, rispondeva di non sapere proprio a chi appartenessero. Mentiva: il perito Ugo Ricci sul pezzo di stoffa ha isolato tracce ‘epiteliali’, cioè della pelle, che combaciano con il dna di Vinci. Perché diceva che non era roba sua? Aveva a che fare con i delitti? Nascondeva qualcos’altro? Alla prosecuzione delle indagini spetta un’eventuale risposta. E nel frattempo, il giallo s’infittisce.

Anche ricavare il profilo genetico del sardo per la comparazione non è stato facile. Vinci infatti dall’anno 1987 è sparito dalla circolazione e ancora oggi non si sa se sia vivo o morto: in questi anni, non ha mai neppure ritirato la pensione. I carabinieri hanno seguito uno dei figli al bar e dalla tazzina hanno ricavato il suo dna. Che però non è compatibile con quello del”uomo sconosciuto 1” estratto dall’interno dei pantaloni che erano nella tenda in cui, nel 1985, il mostro uccise la coppia di francesi.

Un rompicapo, insomma. Alla cui soluzione non contribuiscono le indagini del passato. Le comparazioni dei dna sono state fatte sulla base di un materiale parziale. Basti pensare che non è mai stato conservato il dna di Mario Vanni (che secondo le sentenze, armato di coltello, deturpava le vittime) e di Giancarlo Lotti, condannati in via definitiva anche per il delitto degli Scopeti, l’ultimo. Il dna di Pietro Pacciani invece c’è: è stato acquisito quando è stata traslata la sua tomba. Ma neppure del suo profilo, è rimasta traccia dentro o fuori dalla tenda. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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