Calenzano, l’identikit quarant’anni dopo. "Quella coppia vide il mostro scappare"

Il 22 ottobre del 1981, la calibro 22 uccise Stefano Baldi e Susanna Cambi. I ricordi del giudice istruttore Palazzo: "Non fummo fortunati"

Stefano Baldi e Susanna Cambi, vittime del mostro a Calenzano. Nel riquadro, l’identikit

Stefano Baldi e Susanna Cambi, vittime del mostro a Calenzano. Nel riquadro, l’identikit

Firenze, 22 ottobre 2021 - Quarant’anni. Tanti ne sono passati da quel 22 ottobre del 1981. Era il giovedì di una settimana accorciata da uno sciopero generale all’indomani. Susanna Cambi, 24 anni, fiorentina, dipendente di una delle tv private che spuntavano all’epoca, e il fidanzato Stefano Baldi, 26, pratese, dopo aver cenato assieme, imboccarono, come facevano all’epoca tanti ragazzi, i sentieri sterrati delle Bartoline, a Calenzano. Non ne uscirono più: il mostro di Firenze li sorprese tra tenerezze e sogni. E non ebbe pietà. A quarant’anni di distanza, non c’è giustizia per Stefano e Susanna. Perché il delitto di Calenzano (come quello di quattro mesi prima a Mosciano, e quello del 1974 di Sagginale) resta senza colpevoli, ancora oggi. Perché le sentenze hanno escluso che qui abbiano operato i compagni di merende, Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti.

Ma il sangue delle giovani vittime delle Bartoline ha un sapore diverso, forse ancora più amaro rispetto a quello degli altri morti. Intorno alla Golf del Baldi, un’impronta di uno strano anfibio getta ombre sinistre su chi possa esserci stato, a pesticciare in quel campo. Quella notte, poi, venne incrociata un’automobile sportiva, che scappava a tutta velocità proveniendo proprio dai campi dove i corpi straziati erano ancora caldi. I due fidanzati rimasero colpiti dall’uomo alla guida, e fornirono una descrizione da cui è stato tratto l’ormai celebre identikit: da quarant’anni, la faccia del mostro.

L’ex magistrato Salvatore Palazzo
L’ex magistrato Salvatore Palazzo

Dottor Salvatore Palazzo, lei era in servizio quando il mostro uccise a Calenzano. Cosa ricorda di quel giorno? "All’epoca facevo il giudice istruttore penale, che, in quel periodo antecedente alla riforma della giustizia, svolgeva tutte le indagini più complesse. Ricordo che il procuratore della Repubblica di Prato mi passò subito gli atti, feci il sopralluogo alle Bartoline e, davanti a quei corpi martoriati, sono cominciate le indagini: disponemmo le autopsie, le perizie balistiche, cercammo possibili testimoni". Trovaste qualcosa? "Tante segnalazioni, ma perlopiù infondate. Ci arrivavano accusa calunniose contro medici, oppure telefonate di mogli insospettite dai mariti che rincasavano tardi, ma nulla di più e niente che ci potesse guidare verso una certa pista. Non siamo stati fortunati". Del delitto di Calenzano, però, è rimasta quella che nell’immaginario popolare è l’effigie del mostro di Firenze. "Ci furono i due ragazzi che videro questa macchina rossa, con questa figura strana che guidava. Sicuramente questa persona con l’omicidio c’entrava, ma non abbiamo mai scoperto chi fosse". E poi? "Poi con il delitto successivo, gli atti sono transitati a Firenze, confluendo così in un unico procedimento" E del mostro non si è più occupato? "No" Ha poi seguito gli svillupi investigativi e processuali della vicenda? "Sì, sui giornali, per curiosità". Quello di Calenzano è rimasto uno dei tre duplici omicidi senza un colpevole: i compagni di merende, secondo le sentenze, erano presenti a partire da quello successivo, avvenuto nel 1982. "Queste figure non apparivano nelle indagini che facemmo, ma credo comunque che il solco sia quello: non sappiamo chi fosse l’autore, sicuramente uno che si muoveva la notte". Nelle ultime indagini, concluse mesi addietro, è stato indagato un personaggio di Prato, l’ex legionario Giampiero Vigilanti. Le dice niente? "Non è mai rientrato nelle nostre indagini". Si ricorda di quell’impronta che andava in direzione della macchina? "Sì, ricordo che la fotografammo ed è rimastà lì, nella speranza che potesse essere attribuita: in quel momento non ci ha dato nessun significato". E rammenta il clima che si respirava? "Al momento in cui avvenne il delitto di Calenzano non c’era ancora la psicosi da mostro, che invece si realizzò dopo quel delitto. Negli anni successivi al duplice omicidio di Calenzano cominciarono le fibrillazioni, sia dei ragazzi che uscivano la sera, sia per le famiglie che li aspettavano a casa. A Prato, poi, ci trovammo contemporaneamente ad affrontare i procedimenti sul sequestro Baldassini e per l’omicidio del notaio Spighi. Fu un periodo veramente duro".  

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