Mafia "Quest’auto tomba di mio marito Attenti, Cosa Nostra è viva e vegeta"

Tina Montinaro, vedova di uno degli agenti morti nel ’92 con Falcone e la moglie, ospite a Scandicci. Testimonianza di coraggio: "Porto in giro per l’Italia la Croma di Antonio fatta esplodere dai criminali"

"Cerco di guardare quella vettura sempre in modo distratto. Mi concentro sul messaggio, sulla testimonianza. Perché se guardo troppo la Quarto Savona Quindici, penso che quella Croma targata Polizia 72677 è la sepoltura di mio marito". E’ l’unica concessione alla commozione di Tina Montinaro, vedova dell’assistente Antonio Montinaro, uomo della scorta del giudice Giovanni Falcone, ucciso a Capaci il 23 maggio 1992. Per il resto è intatto il coraggio, la voglia di raccontare, e ripetere fino allo sfinimento che la mafia va combattuta in tutti i modi, anche se adesso Cosa Nostra è più mimetica e strisciante. Tina Montinaro ieri è intervenuta a Scandicci all’evento organizzato nel trentennale dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, per ricordare i servitori dello Stato uccisi dalla criminalità organizzata. "Da trent’anni ce la metto tutta – racconta – facendo grandi sacrifici, mettendo da parte il mio dolore. Porto in giro per l’Italia la Quarto Savona 15. E cerco di non pensare troppo al fatto che quella è la tomba di mio marito".

Qual è il suo scopo?

"Voglio far capire cosa sono in grado di fare i mafiosi. Raccontare che non è finita la nostra voglia di capire perché è successo. I giovani devono avere consapevolezza che la vita è fatta di scelte. Nella macchina c’erano Antonio, Rocco e Vito. Tre poliziotti che avevano fatto la loro scelta con un giuramento rispettandolo fino in fondo. Quando guardate quella vettura, dico sempre, fatelo sempre con rispetto".

Quanto conta la memoria nella lotta alla mafia?

"E’ importante, ancora di più dopo 30 anni. Ancora di più in questi tempi dove stanno passando messaggi sbagliati: che dovremmo buttarci tutto dietro alle spalle, che magari la mafia non esiste più. Dobbiamo far capire alle nuove generazioni che invece la mafia esiste, che è una mafia diversa, che la memoria è importante. I giovani devono essere diversi da noi e fare in modo che queste cose non succedano più".

Come si combatte oggi la battaglia contro le mafie?

"Penso ai ragazzi del nord, che non vivono la realtà del sud, non vedono la quotidianità fatta di criminalità organizzata, di pizzo, di morti. Loro possono pensare che la mafia non c’è più. Invece si è evoluta. E’ la mafia dei colletti bianchi a cui non conviene più uccidere. Hanno capito che con la stagione delle stragi si sono dati la zappa sui piedi. Non si aspettavano che uscisse fuori una coscienza e una società. Ai giovani dico di essere curiosi. Di stare attenti, guardarsi attorno e fare domande. Perché la mafia si può combattere, ma solo se si cerca la verità".

Fabrizio Morviducci

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