
La Edison Giocattoli ha fatto divertire tante generazioni di bambini in tutto il mondo. Baby-poliziotti e cowboy erano attrezzati con le armi giocattolo e le munizioni realizzate da questa azienda. Ma con l’improvvisa messa in liquidazione della società – che oggi ha una doppia proprietà, italo-tedesca – questo storico marchio potrebbe essere al capolinea.
Ieri al presidio di protesta, davanti al cancello della fabbrica nella zona industriale di Barberino di Mugello – presente anche il sindaco Giampiero Mongatti – c’erano rabbia e preoccupazione. Con tanta delusione per un atteggiamento della proprietà poco comprensibile. "Il paradosso – nota Alessandro Lippi della Cgil – è che il mercato c’è ancora, perché la Edison è un unicum nel genere. Esiste la struttura, esiste la risorsa umana, ma andava fatta innovazione, perché con i macchinari datati anni ‘70 diventa dura".
Le difficoltà duravano ormai da qualche anno, e i dipendenti si sono dimezzati: erano più di 50, ora sono 28. E più di recente, un altro campanello d’allarme: "E’ dall’aprile dello scorso anno – dice una di loro, Tiziana Borriello – che non riscuotiamo lo stipendio per intero, ma soltanto acconti". Così la prospettiva era la cassa integrazione straordinaria, ma è arrivata all’improvviso la notizia della nomina del liquidatore. E ora si teme che la messa in liquidazione possa frenare le procedure per la concessione degli ammortizzatori sociali.
Il sindacato uno spiraglio intende tenerlo comunque aperto: "La cassa integrazione – dice Lippi – non deve per forza essere un accompagnamento al licenziamento, ma un tempo nel quale cercare nuovi acquirenti del marchio e poter continuare a lavorare. Abbiamo anche costituito un comitato per valutare la possibilità di costituire una cooperativa che sia in grado di lavorare per qualunque nuovo soggetto che rilevi l’azienda". Ma i lavoratori sono delusi e sfiduciati: "Lavoro alla Edison da 16 anni – dice Borriello – e non ho ormai grandi speranze. Peraltro la maggior parte di noi ha più di 40 anni, e non è facile ricollocarci".
Paolo Guidotti