
La madre di Niccolò, Cinzia, nella stanza di suo figlio
di Stefano Brogioni
"La condizione di latitante, se non può essere fonte di irragionevoli limitazioni del diritto di difesa anche a lui spettante, non può neppure essere elevata a presupposto di trattamenti processuali di favore, che alterino l’equilibrio e la razionalità del modello delle impugnazioni", rivisitato da una recente riforma, "che concorre a delineare un giusto processo".
Ed è stato un giusto processo, ha stabilito la Corte di Cassazione, quello che subito in Italia Rassoul Bissoultanov, il ceceno condannato a 23 anni di reclusione per aver ucciso il 21enne di Scandicci Niccolò Ciatti, durante un pestaggio in una discoteca di Lloret de Mar avvenuto nell’agosto di sette anni fa.
Per i giudici della Suprema Corte, che in questi giorni hanno depositato le motivazioni della sentenza che lo scorso aprile ha trasformato in definitiva la condana del ceceno. "Sono manifestatamente infondate - argomentano ancora gli ’ermellini’ - le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa".
L’avvocato di Bissoultanov aveva infatti incentrato il suo ricorso - dopo due condanne fotocopia in entrambi i precedenti gradi di giudizio - sull’assenza del suo assistito e l’impossibilità di questi a conferirgli il mandato a impugnare le sentenze, e pure sul "ne bis in idem", il doppio giudizio per i medesimi fatti. "La litispendenza - spiega ancora la Cassazione - con altro processo, pendente sulla stessa accusa, mossa alla stessa persona, dinanzi a Paese Europeo, non fa venire meno la giurisdizione italiana, se non nel caso di pronuncia definitiva da parte dell’autorità giudiziaria estera".
Com’è noto, il processo per l’omicidio di Niccolò, si è dipanato su due binari paralleli - quello spagnolo e quello italiano - ma con la definizione del procedimento italiano, il nostro Paese ha terminato l’azione penale. Quindi nessuno spazio per il ricorso del legale del ceceno: "Il presupposto in discorso non sussiste nella vicenda giudiziaria odierna, non essendosi ancora formato il giudicato in seno all’ordinamento nazionale spagnolo".
Capitolo giudiziario chiuso, dunque. Ma il traguardo raggiunto in tribunale, non colma la lacuna della fuga del ceceno.
La famiglia Ciatti non si dà pace. E ribadisce che l’Europa e i suoi Stati devono prendersi carico delle ricerche di un condannato inserito anche nella lista dell’Interpol.
Ma chi lo sta concretamente cercando? Quello di Bissoultanov è soltanto un nome in un database o c’è un coordinamento di forze di polizia che sta cercando di capire dove possa aver trovato riparo?
Bissoultanov ha fatto perdere le sue tracce dopo la decisione (poi annullata dalla Cassazione, ma quando la frittata era ormai fatta) di rimetterlo in libertà pochi giorni dopo il suo arrivo in Italia dalla Germania, dove era stato arrestato durante un permesso del giudice spagnolo. Una catena di leggerezze che oggi pesano come macigni nella ricerca della giustizia che la famiglia Ciatti cerca da quella notte dell’11 agosto del 2017.