Francesco
Gurrieri
Le dispute accademiche sul nulla o comunque su argomenti capziosi che servono da pretesto solo per celiare e motteggiare i colleghi sono proverbiali e difficilmente comparabili a quelle di altri ambienti. Poi, ci sono le occasioni più pacatamente domestiche e qui, di ciò si riferisce. Alessandro Parronchi compiva gli anni nel giorno di Santo Stefano. Con civile e gradita tradizione invitava a cena gli amici. In codesto post-Natale degli anni Novanta ci trovammo insieme a casa sua, al secondo piano di via Settembrini, con la moglie Nara, il linguista professor Castellani con moglie e Gigi Baldacci, allora ordinario di letteratura italiana a Magistero. La conversazione, come accade in codeste occasioni, spazia dalle malizie sui colleghi assenti, sulle gaffe degli amministratori, alle squadre di calcio per le quali si tifa. Ma arrivati alla frutta, la presenza delle noci a tavola aprì una disputa rimasta storica: anatomizzando la noce, si discettava su quale parte di questa fosse il “gheriglio”: se fosse cioè la parte spugnosa, sotto il guscio a contenere la parte commestibile o la parte interna che si mangia. Gigi Baldacci, allora ordinario di Letteratura Italiana, sosteneva tenacemente la prima tesi (il gheriglio come parte spugnosa), mia moglie Giovanna la seconda tesi (il gheriglio come parte commestibile), Castellani silenzioso e divertito, Parronchi astenuto. La querelle andò avanti a lungo, anche perché accompagnata dal caffè, dai cantucci di Prato affogati nel vermouth. Alla fine, Parronchi, zitto zitto si allontanò e ritornò poco dopo imbracciando un buon vocabolario Garzanti d’annata e lesse la versione ufficiale del gheriglio. Baldacci accusò lealmente il colpo e del gheriglio si riparlò nel Santo Stefano dell’anno di poi. Poco più tardi Baldacci ci lasciò e Firenze perse per sempre il suo maggior critico letterario di livello nazionale.