di Francesco Querusti
Reportage di guerra, ma soprattutto di calcio per il dirigente arbitrale fiorentino Luciano Luci, impegnato da 12 anni come designatore nel campionato ucraino. Il calcio si è dimostrato più forte delle bombe. Luci per tre volte negli ultimi mesi è tornato in Ucraina. "A Kiev e nei paesi della zona ovest del Paese il campionato di serie A a 16 squadre, la serie B o Prima Lega e la serie C, insieme al campionato femminile di serie A e agli under 19 sono in svolgimento e si sono già giocate 15 giornate da agosto a dicembre".
Come si fa a giocare?
"Le gare si giocano tutte alle 12, senza mai accendere le luci degli impianti. Se suona la sirena d’allarme la partita viene interrotta dall’arbitro e tutti si recano negli spogliatoi o nei rifugi predisposti fino a che non cessa il pericolo, oppure se il rischio si prolunga la partita viene sospesa. Gli incontri si giocano a porte chiuse senza pubblico. Ora la prima parte di campionato è terminata e si riprenderà il 3 marzo dopo la pausa invernale".
Cosa la spinge ad affrontare questi rischi?
"Passione per il calcio e spirito affettivo per questo ruolo di designatore che ricopro da 12 anni in Ucraina. Tre diversi presidenti federali si sono succeduti e mi hanno spinto a proseguire dimostrando considerazione e stima nei miei confronti. Le designazioni nella maggior parte dei casi le faccio dalla mia casa in Mugello, ma per tre volte mi sono recato a Kiev. Inoltre per la parte tecnica sono affiancato da Nicola Rizzoli".
Ma come si raggiunge Kiev?
"Il viaggio migliore è in auto, con uno stop di una notte in Ungheria. Poi dal confine a Kiev ci sono 12 ore di auto, passando da Leopoli, con strade abbastanza agibili e senza particolari rischi perché nella zona ovest non ci sono al momento combattimenti. In totale sono 1200 km da percorrere. In aereo è più scomodo perché si deve andare in Polonia e poi prendere un’auto a noleggio per 900 km".
Che esperienze di guerra ha avuto?
"Quando scoppiò la guerra ero in Ucraina per una consulenza sull’insegnamento del sistema Var. Il ritorno in Italia fu un’odissea con due giorni nei rifugi e poi una vera fuga con mezzi di soccorso. Negli ultimi viaggi ho avuto minori problemi, ma in un’occasione delle schegge di bomba sono finite su un hotel vicino al mio".
Che livello arbitrale e calcistico c’è in Ucraina?
"Ci sono tanti giovani arbitri di valore che però in ogni momento possono essere chiamati alle armi, come anche i giocatori. L’arbitro di rilievo è Katerina Monzul che è fra le migliori donne arbitro a livello mondiale e dirige gare in Coppa Uefa. Molti giocatori stranieri non sono tornati, soprattutto i sudamericani e anche De Zerbi ha lasciato l’Ucraina. Si è un po’ abbassato il livello tecnico, ma ci sono tanti giocatori interessanti".
Quale messaggio vuole lanciare?
"La speranza di tutti è che la guerra finisca presto. Il presidente federale ucraino Andrej Pavelko, membro Uefa, sta portando avanti con forza l’attività calcistica nonostante Kiev e tanti paesi spesso senza luce e riscaldamento".
Un pensiero agli arbitri italiani.
"La pandemia ha creato un allontanamento dal mondo arbitrale da parte di tanti giovani. Nel periodo in cui sono stato presidente della sezione di Firenze avevamo 450 arbitri, ora sono molti meno. Per fare l’arbitro serve passione, costanza, sacrificio e impegno, ma è anche un settore educativo e ricco di soddisfazioni. Bisogna tornare a fare opera capillare di reclutamento arbitri nelle scuole e coinvolgere le società sportive per far avvicinare gli under 18 che smettono di giocare".