di Giovanni Bogani
Venerdì pomeriggio, alle 17.30, alla Biblioteca delle Oblate, si ricorderà una persona che ha fatto molto per la cultura a Firenze. Un signore che ha fatto incontrare migliaia di persone con decine di migliaia di libri.
Orazio Borselli era un libraio, uno dei più competenti, dei più preparati, dei più gentili, dei più creativi, e anche dei più modesti, che la città abbia avuto. Uno di quei librai che aveva un archivio immenso di dati non nell’hard disc del computer, ma nella sua memoria personale.
Sapeva trovare il libro più difficile, o quello richiesto nel modo più confuso: la signora che chiede "L’Amaro di Molière", il vecchietto che chiede "Sequestro un uomo". O quello che chiede "La moltitudine dei numeri dispari". Orazio non faceva una piega, sorrideva, spariva un minuto, e tornava con il libro richiesto. Anche se gli avevano chiesto "Madame e bovàri".
Orazio ha lavorato, per decenni, nella libreria Marzocco, in via Martelli. Quella libreria che oggi non c’è più, ma che per anni è stata un tempio. La cattedrale dei libri. E alla libreria Marzocco, Borselli ha tenuto a battesimo tanti ragazzi e ragazze, tante professionalità che poi sono cresciute, che hanno preso il volo, uno dopo l’altro. Entrati come magazzinieri, entrati per pochi mesi al reparto scolastico: e poi innamorati del mestiere, diventati librai, andati ad aprire altre librerie, a dirigerle.
Quando la libreria Marzocco viveva i suoi giorni di splendore, in tanti si fermavano a parlare con Orazio Borselli: Giovanni Spadolini, quando era Presidente del consiglio, faceva fermare lì l’auto con la scorta e conversava con Orazio di letteratura e di filosofia. Conversavano con lui giornalisti e scrittori come Pier Francesco Listri, critici come Giorgio Luti, attori come Marco Messeri. E chissà quanti altri; ma Orazio coltivava l’arte sublime della modestia e della riservatezza, e non amava farsi vanto di questi incontri. Di queste persone che rendevano omaggio alla sua competenza, alla sua professionalità, e anche alle sue qualità umane.
Quando la Marzocco, poi divenuta Martelli, ha chiuso, Orazio è stato accolto alla Edison. Lo trovavi lì, con i suoi occhiali sempre pulitissimi, i golfini color confetto, la gentilezza nitida, precisa. Potevi parlare con lui del cinema di François Truffaut o di quello di Antonioni, di Fellini o di Almodovar, ma anche di Moravia, di Pasolini, di Primo Levi o di Roland Barthes. Sapeva un po’ di tutto, aveva letto un po’ di tutto, amava il cinema, la musica classica, ma anche le canzoni di Sanremo, dei cantautori, i grandi romanzi. Probabilmente, Orazio – scomparso il 18 gennaio dell’anno scorso – non amerebbe questa celebrazione. Era schivo, riservato. È difficile anche trovare delle foto che lo ritraggano. E invece, questa celebrazione se la merita tutta.