Ognuna di loro ha lasciato un’impronta differente, ma guardando e procedendo nella stessa direzione. Ognuna ha creduto nella pittura che superava i limiti della tela e del figurativo, per inoltrarsi in una dimensione astratta, capace però di raccontare assai meglio le istanze politiche, sociali e personali dell’inizio della seconda metà del Novecento.
Carla Accardi (1924-2014), Marina Apollonio (1940) e Dadamaino (1934-2004), sono le tre protagoniste dell’arte italiana del dopoguerra, a cui Tornabuoni Arte rende omaggio con una mostra che ne evidenzia consonanze e differenze all’internodell’astrattismo. ’Avanguardie al Femminile’ è il titolo dell’esposizione che riunisce più di 40 opere che abbracciano la seconda metà del XX secolo, nella sede di Lungarno Cellini fino al 15 novembre.
All’inaugurazione di ieri pomeriggio è arrivata la stessa Marina Apollonio, l’ultima in vita delle tre straordinarie artiste, soffermandosi con Roberto e Ursula Casamonti, davanti alle sue opere di ’Dinamica Circolare’, ottico-cinetiche, impotiche e poetiche. Già nei primi anni Sessanta, hanno inizio le sue ricerche sulla percezione visiva, sulla creazione di stimoli percettivi attraverso una combinazione di forme pure.
Il percoso della mostra inizia dai lavori dalla romana Carla Accardi, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita. Al centro ’Assedio Rosso n.3’ del 1956, dove su una tela di oltre un metro e mezzo di lunghezza, è racchiuso tutto il suo linguaggio fatto di segni, simboli e colore. Il dipinto è stato esposto anche al Palazzo delle Esposizioni a Roma per la retrospettiva dedicata all’Accardi proprio per il centenario. Realizzato pochi anni dopo lo scioglimento di Forma 1 – il movimento artistico da lei fondato a Roma nel 1947 insieme, tra gli altri, a Giulio Turcato, Pietro Consagra, Piero Dorazio e Achille Perilli – il dipinto richiama alcuni degli ideali del gruppo che enfatizzava l’importanza dell’astrazione e rifiutava ogni forma di realismo e rappresentazione figurativa. Qui, i segni sono come note musicali rosse che esplodono contro un impenetrabile sfondo nero. A testimoniare la sua ricerca del periodo successivo, è presente anche un monumentale quadro del 1967, lungo quasi quattro metri, su sicofoil, un materiale plastico trasparente, che sostituisce il tradizionale supporto della tela e caratterizza il quadro stesso come un diaframma luminoso, un esempio iconico di una delle serie più note dell’Accardi.
Dadamaino, pseudonimo di Edoarda Emilia Maino, milanese e più giovane di un decennio dell’Accardi, scopre la pittura quasi per caso affascinata da un quadro di Fontana che vede in una vetrina. Influenzata dello Spazialismo, elabora una sua personale versione delle opere con i buchi che intitola Volumi, di cui alcuni esempi sono in mostra. Grandi ovali ritagliati nella tela monocroma, che ne rivelano il bianco retrostante: il buco diventa il negativo, il vuoto, e la tela è percepita non più come superficie ma come spazio tridimensionale. Sono anche gli anni in cui Dadamaino frequenta il bar Giamaica a Milano, dove, nel 1957, conosce Piero Manzoni, con cui nasce una profonda amicizia. Manzoni la invita ad esporre i suoi Volumi nella galleria Azimut, spazio autogestito dal gruppo di cui faceva parte insieme a Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani. Agli inizi degli anni Sessanta, Dadamaino intraprende la sperimentazione optical, una nuova percezione, un nuovo modo di vedere, che coinvolge anche la partecipazione dello spettatore, come dimostra ’Oggetto ottico-dinamico? (1963-65), precedentemente esposto al Centre Pompidou a Parigi e successivamente al Guggenheim di Bilbao.