"I testi? L’emblema di ciò che va a pezzi ed è quello che sta succedendo nel mondo". Parola di Vinicio Capossela, cantautore, ri-trovatore, immaginatore, fresco di Laurea magistrale honoris causa in “Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea” all’Università degli studi di Napoli L’Orientale. L’artista sta portando in giro l’utimo lavoro discografico “Tredici canzoni urgenti” uscito ad aprile e vincitore della Targa Tenco 2023 nella categoria Miglior Album in assoluto e il 12 novembre il tour ’Con i tasti che ci abbiamo - Tredici canzoni urgenti a teatro’ arriverà al Verdi di Firenze.
Nell’ultimo disco lavora molto sul tema delle esperienze collettive: la musica si fa insieme?
"Sì, non siamo isole. L’elemento autobiografico ha ceduto più spazio all’esperienza sociale. La musica si fa con l’apporto di molte persone: le canzoni che ho scritto nascono dall’incontro con gli altri. E anche il concerto è esperienza collettiva. Il disco nasce proprio dal senso di isolamento e paura verso le situazioni che affrontiamo da soli".
Perché l’album s’intitola “Tredici canzoni urgenti”?
"Sono canzoni di carattere civile, legate ai problemi più stringenti del momento che stiamo vivendo. Sono brani che rispondono a un fenomeno: come diceva Benjamin ‘quando la politica diventa spettacolo, spesso incivile, allora lo spettacolo deve diventare politica civile".
Come ha messo insieme la musica ai temi che voleva affrontare?
"Visto che sono tutti temi di stretta attualità e non sempre è possibile utilizzare metafore o allegorie, perché bisogna essere chiari, ho messo la musica al servizio di ciò che volevo raccontare, ma alla musica è affidata la componente più emozionale. In ‘La cattiva educazione’ che affronta il tema della violenza di genere inizia con una frase forte, ‘Questa mattina non mi son svegliata...’. In ‘Staffette in bicicletta’ c’è il lato più umano della Resistenza, con nomi di donne che ne hanno preso parte. La vera guerra è quella contro la guerra. La staffetta è un andare avanti".
Tutti i messaggi del disco come si traducono nel concerto?
"Intanto si parte con una voce ricreata dall’intelligenza artificiale che invita a spegnere i ‘device’ proprio per non avere deviazioni e lo spettacolo inizia da un divano. Un divano su cui ci siamo un po’ tutti seduti e che è una sorta di totem della nostra condizione".
Un ruolo fondamentale anche per la scenografia?
"Essenziale ma fondamentale. C’è una grande luna gonfiabile, un luna come quella che si era immaginato Ariosto a cui il poeta ha dedicato quella straordinaria metafora per cui il senno è andato sulla luna, ma sulla luna ci sono anche tutte le cose per cui gli uomini perdono il senno sulla terra: le vanità, il potere, la
seduzione. Ecco li abbiamo tutti in una bella luna gonfiabile, alla fine la facciamo scoppiare e così torniamo a terra dove si sa che non è rimasto altro che follia".