
E’ la scultura più sofferta, scolpita alla soglia degli ottant’anni, che in un impeto di disperazione voleva distruggere a martellate. Ed è quella in cui ha lasciato impresso il suo volto, raffigurato nei tratti dell’anziano Nicodemo che sorregge Cristo. Il Covid ha fermato anche il restauro della Pietà di Michelangelo, detta Pietà Bandini, custodita nel museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. E solo da pochi giorni è stato possibile riaprire il cantiere e rimettere le mani su uno dei più celebri gruppi marmorei modellati dal Buonarroti.
La ripresa dell’intervento di conservazione porta ora una novità per il pubblico: per la prima volta, da lunedì prossimo, sarà possibile accedere al cantiere di restauro grazie a speciali visite guidate (riservate al massimo per cinque persone alla volta) con i restauratori e gli esperti dell’Opera del Duomo.
Intanto la prima pulitura, finita sul retro del gruppo scultoreo, sta riportando alla luce alcuni colori frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti di questa Pietà di Michelangelo: i segni della lavorazione realizzati con strumenti diversi, le impronte dei tasselli del calco ottocentesco nascosti sotto lo strato di polvere misto a cere accumulate in oltre 470 anni di vita dell’opera. La Pietà Bandini risulta infatti essere stata scolpita tra il 1547 e il 1555.
Le indagini diagnostiche hanno già fornito informazioni fondamentali per la conoscenza dell’opera e il suo restauro: sulla Pietà non sono presenti patine storiche, ad eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura, ancora in fase di accertamento. Confermata, invece, la presenza di elevate quantità di gesso, che sono però residui del calco ottocentesco e non conseguenza dell’alterazione del marmo per solfatazione. Insomma, la scultura non sta male.
Sulla base di questi risultati è stato deciso di procedere prima con delle prove di pulitura, per individuare la metodologia più idonea, e poi di iniziare l’intervento dal retro, utilizzando tamponi di cotone imbevuti di acqua deionizzata, leggermente riscaldata. Un metodo non invasivo, graduale e controllato.
Sull’enorme blocco di marmo bianco di Carrara ci sono poi le cere sulla superficie, che sono residui di trattamenti susseguiti nel corso della storia, e sgocciolature dovute alle colature dei ceri posti sull’altar maggiore della Cattedrale di Firenze, sul cui retro l’opera è rimasta collocata per 220 anni. Per la rimozione è stato scelto diprocedere con la pulitura ad acqua con l’utilizzo di bisturi.
Il restauro, finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza è stato affidato a Paola Rosa, che ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso, con la collaborazione di un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera, tra cui Annamaria Giusti già direttrice del settore dei materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure.
Olga Mugnaini