La lettera U come Universale

Scavando in profondità, l'essenza dell'animo umano emerge: le opere universali annullano tempo e spazio. Piccole storie paesane raccontano le profondità dell'esistenza umana. Una lettura che smentisce le critiche di Vittorini.

Per essere universale, la letteratura non ha certo bisogno di cimentarsi con vicende che si svolgono in ogni parte del mondo o raccontare storie grandiose e plateali. "Racconta il tuo villaggio e racconterai il mondo" diceva Tolstoj. Nulla di più vero. Se andiamo a scavare in profondità, troviamo l’essenza. Gli uomini sono tutti diversi, ma le ’cellule sentimentali’ che li compongono, le correnti passionali che li attraversano sono da sempre le stesse, altrimenti non potremmo riconoscerci negli scritti di Seneca, di Omero, di Erodoto, di Shakespeare e così via. Le opere universali annullano il tempo e lo spazio. Ci sono scrittori che narrativamente si sono mossi in scenari circoscritti, ma attraverso piccole storie paesane hanno saputo raccontare le profondità dell’animo umano. Penso all’inarrivabile racconto di Silvio D’Arzo, ’Casa d’altri’. Un prete, una vecchia contadina, un villaggio sperduto nella campagna, sono capaci di chiamare in causa il dramma esistenziale dell’intero genere umano. Penso a ’Barthleby’ di Melville, un ufficio, un capo ufficio, un impiegato, una piccola storia grandiosa. Penso a Beppe Fenoglio, che muovendosi nei suoi mondi narrativi, la guerra partigiana e la vita di paese, è uscito con forza da quei confini raccontando l’uomo in lungo e in largo, nonostante la quarta di copertina del romanzo breve ’La malora’ (1954), scritta da Vittorini (forse invidioso?), dicesse il contrario, l’unico caso al mondo in cui il direttore editoriale denigra lo scrittore che sta pubblicando: "Degli scrittori che i Gettoni hanno presentato del tutto nuovi Beppe Fenoglio è uno su cui siamo più inclini a puntare. Ma ci conferma in un timore che abbiamo sul conto proprio dei più dotati tra questi giovani scrittori. Il timore che, appena non trattino più di cose sperimentate personalmente, essi corrano il rischio di ritrovarsi al punto in cui erano, verso la fine dell’800, i provinciali del naturalismo, i Faldella, i Remigio Zena: con gli ’spaccati’ e le ’fette’ che ci davano della vita, senza saper farne simbolo di storia universale". Nulla di più sbagliato. Lo perdono. Andiamo avanti. Se vogliamo rischiare di diventare universali, cerchiamo di scavare e di osservare da vicino il mondo, anche quello ’sotterraneo’.