
di Giuseppe Rossi
Mentre è ancora impegnato a rimodellare il programma del prossimo 85° festival secondo i criteri di risparmio imposti dal grave dissesto dei conti, il Maggio ha proposto come ultimo spettacolo di stagione una nuova edizione della Carmen di Bizet che è stata salutata da un grandissimo successo. Solo qualche isolato dissenso nei confronti dei responsabili dell’allestimento ha turbato il felice esito della serata a sottolineare il notevole divario fra l’eccellenza dell’esecuzione musicale e la debolezza della parte visiva proveniente da una vecchia produzione zurighese di Matthias Hartmann con scene di Volker Hintermeier e costumi di Su Bühler.
All’insegna di uno spartano minimalismo, anche e soprattutto sul piano delle idee, il dramma viene ricreato in abiti moderni e senza riferimenti al folclore spagnolo su una piattaforma circolare con pochi elementi evocativi dei diversi luoghi dell’azione, mentre la regia per lo più latita quando non incorre in risibili scivoloni di gusto. Per fortuna ciò che manca sulla scena viene compensato dalla direzione di Mehta e dall’ottima compagnia di canto. Una lettura dai tempi comodi ma dai colori vivacissimi e dal poderoso sbalzo drammatico che permette di ammirare una prova di orgoglio dei complessi del Maggio nello sfarzo timbrico dell’orchestra come nella qualità degli interventi del coro istruito da Lorenzo Fratini e delle voci bianche dell’Accademia preparate da Sara Matteucci. Clementine Margaine è una Carmen fiera e sensuale, ricca di comunicativa ma esente da forzature veristiche, e Francesco Meli un Don José vocalmente sicuro. Valentina Nafornita è una Micaela di toccante fragilità e Mattia Olivieri un fascinoso Escamillo in un insieme di voci ben scelte per ogni personaggio. Tutti premiati.