"Io, da Palermo a Scandicci mi porto la paura addosso"

La testimonianza di una donna che ieri mattina è voluta essere in prima fila. Per assistere commossa all’arrivo dell’auto della scorta di Falcone distrutta

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di Fabrizio Morviducci

"Quando ci fu l’attentato di Capaci ero dal parrucchiere, cominciammo a sentire le sirene per le strade, era il segnale che qualcosa di grosso era successo in città. Mi porto addosso la paura che provammo". Antonina Tranchina ha 77 anni, e da 24 abita a Scandicci. Viveva a Palermo, sua città d’origine, trenta anni fa, quando la mafia uccise in sequenza Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, usando l’esplosivo per togliere la vita ai magistrati di punta del pool antimafia, e agli uomini delle loro scorte.

Ieri, Antonina, ha voluto essere in prima fila, di fronte all’auto distrutta della scorta che simbolicamente è arrivata a Scandicci. E sotto una pioggia incessante, ha assistito al suo posizionamento nel mezzo di piazza della Resistenza. "Quando le bombe fecero vittime in via d’Amelio – ricorda come fosse ieri Antonina – mi trovavo a Carini da un’amica. Accendemmo per caso la televisione; l’edizione straordinaria del telegiornale stava dando la notizia".

Ieri mattina ha rivissuto quei momenti, mentre accoglieva la Quarto Savona 15, la Fiat Croma della scorta di Falcone, che quel giorno maledetto di trent’anni fa precedeva proprio la vettura del magistrato. E quando il personale della Polizia di Stato ha alzato la copertura della teca, si è visibilmente commossa. Tornado a ricordare. "Furono giorni tremendi e lo sono ancora oggi, non solo perché mi trovo davanti un simbolo della storia tragica, ma perché quella contro la mafia è una battaglia che stiamo ancora combattendo. Falcone e Borsellino hanno lottato con grande coraggio, ma sapevano di correre rischi. Erano consapevoli che fosse in gioco la loro vita, e non si sono tirati indietro".

Dietro quella teca, su quelle lamiere contorte, quei cavi elettici smozzicati e le plastiche fuse dal calore, c’è il simbolo della lotta delle istituzioni contro la criminalità organizzata, ma dà i brividi – non soltanto ad Antonina – pensare che è la stessa auto che ha visto il giorno dell’attentato, e che trasportava uomini, uccisi dalla mafia e strappati alle loro famiglie. "La mafia – racconta ancora Antonina – rovina tutto quello che tocca. La Sicilia è una terra bellissima, che vive però sotto una cappa. Oggi la mafia non spara più, ma fa affari, in silenzio perché il silenzio rende. Tutti noi siciliani in qualche maniera abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significa dover subire il ricatto, la pressione, la paura". Ecco cosa rappresenta la Quarto Savona 15. E’ il monito alle giovani generazioni, la memoria per chi ha vissuto quei giorni. E’ il sacrificio di chi ha servito la collettività, i cittadini, arrivando all’estremo per affermare valori di legalità, di civismo, di cittadinanza che sono propri di uno stato democratico. Un monito di cui Antonina è l’esempio vivente e riconoscente.

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