
di Giovanni Bogani
FIRENZE
Il Museo Stibbert di Firenze è già, di per sé, una perla, non abbastanza conosciuta dai turisti internazionali, che quasi sempre si limitano alle vie del centro e ai suoi celeberrimi musei, perdendosi questo gioiello, a pochi metri da piazza Leopoldo.
Il museo è la grande dimora, costruita come un castello medievale, in cui nella seconda metà dell’Ottocento un nobile inglese, Frederick Stibbert, raccolse armature medievali, lance, alabarde, ma anche preziosi oggetti di arredamento, dipinti, divise rituali da samurai, persino mummie. Frederick Stibbert era un milionario dell’epoca: figlio di un viceré delle Indie, innamorato di ciò che gli oggetti raccontavano. E della città di Firenze, cui donò, alla sua morte, il museo e il parco annesso.
Da domani, il museo Stibbert si arricchisce di una mostra che prosegue, idealmente, il lavoro di Stibbert, e che resterà visitabile fino al prossimo maggio. Si chiama – con un titolo che richiama un famoso film di Wim Wenders – ‘Così lontani, così vicini’. La ha ideata e curata Sabine du Crest, studiosa e ricercatrice francese, che ha lavorato insieme al direttore del museo Enrico Colle e alla fondazione Alinari per la fotografia. Che cosa racconta la mostra? Attraverso fotografie e oggetti, racconta la fascinazione che tutta l’Europa ha subito, soprattutto nell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, per gli altri mondi. Per l’esotico. Per gli oggetti che venivano dall’Oriente, o dall’Africa.
L’esotico che diventa erotico: la passione che collezionisti e artisti a cavallo dei due secoli avevano per oggetti provenienti da Cina, Giappone, Birmania, dall’Africa nera: voci di mondi e culture differenti. Troviamo due magnifiche gru in bronzo di manifattura giapponese, enormi e policromi vasi in porcellana, draghi birmani. E vediamo fotografie che ritraggono grandi artisti nei loro studi esotici: un giovane Picasso, Braque, Sacha Guitry, Peggy Guggenheim, ma anche lo stesso Frederick Stibbert vestito da indiano. Ci sono foto delle feste di ambientazione cinese allestite nel ghetto di Firenze, nel 1888. Fra gli oggetti, molti sono quelli provenienti dai magazzini del museo; altri sono stati messi a disposizione da collezionisti privati, come Alex Herbert Postiglione di Limbin, erede dell’ultima principessa birmana. L’allestimento della mostra è curato da Martina Becattini, Simona Di Marco e Riccardo Franci.
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