Il mister e la leva calcistica del ’56. "Per me resterà sempre Paolino"

Gli anni alla Cattolica Virtus, Rossi era sedicenne. Piero Colzi: " Fui io a farlo giocare prima punta"

Piero Colzi con la foto di Paolo Rossi (foto Germogli)

Piero Colzi con la foto di Paolo Rossi (foto Germogli)

Firenze, 11 dicembre 2020 - Ai tempi della Cattolica Virtus Rossi era semplicemente Paolino, un ragazzino magro, svelto e vispo che veniva da Prato. Piero Colzi allenava la leva 1953/1954, e dopo aver vinto il titolo regionale Juniores contro la Sestese, alla vigilia delle finali nazionali andò dai dirigenti a sbattere i pugni sul tavolo per togliere quel gioiellino ai tornei degli Allievi e portarlo con sé. "O vu mi date Paolino o vu andate da soli", strillava Colzi. Fondamentale, fu l’intervento di don Ajmo Petracchi, il prete delle vicina chiesa di San Michele, che del Pablito nazionale diventerà un vero e proprio padre spirituale. E Paolino partì con i grandi.

Correva l’anno 1972 e Rossi, classe 1956, di anni ne aveva 16, anche tre in meno di compagni e avversari. Ma non si vedeva. "I talenti non hanno età", sentenzia Colzi. Aveva tirato i primi calci nel Santa Lucia, si era fatto una stagione nell’Ambrosiana, sempre a Prato, e poi si era cucito la maglia a righe gialle e rosse della blasonata società fiorentina che gli rimarrà addosso in eterno. Anche quando son cambiate le tonalità delle strisce della casacca. E pure da eroe azzurro e Mundial. "Non si è mai dimenticato della Cattolica Virtus – assicura il presidente di oggi, Maurizio Cammilli -, tante volte è venuto qui a trovarci. Ai ragazzi che, curiosi, gli facevano le domande sulla sua carriera, ripeteva: ho giocato negli stadi più importanti del mondo, ma l’emozione più grande resta la “salitina“". Ovvero il dislivello, caro ad ogni ’cattolichino’, che si fa per raggiungere gli spogliatoi dell’impianto che lo ha fatto diventare calciatore. E anche uomo. Ma se l’allenatore Colzi, in quel luglio di 48 anni fa, non si fosse impuntato, chissà.

Alle finali a Vietri sul Mare – sì, proprio lì, perfino lo stesso hotel “Voce del mare” in cui tornerà nel maledetto ritiro con il Perugia che aprì la parentesi calcioscommesse – la Cattolica perse l’occasione di giocarsi il titolo. 3-3 al 90esimo, 6-5 dopo i tiri dagli undici metri contro la Pro Calcio di Roma, che diventerà campione. A Paolino non spettò il dischetto, ma era già stato notato: in tribuna c’era un osservatore della Juve che aveva passato ad Allodi quel nome. Nel settembre successivo, a Piero Colzi arriverà una cartolina, che ancora custodisce tra foto e ricordi nel suo ufficio di imprenditore e dirigente sportivo: il mittente è ovviamente Paolino e la provenienza è Villar Perosa. Rossi è bianconero. Il babbo Vittorio, tifoso della Fiorentina, aveva sperato di vedere il figlio in viola, ma l’offerta della Vecchia Signora era impareggiabile: 20 milioni di lire. D’altronde, era un predestinato. "Nella mia squadra - ricorda ancora Colzi - avevo un centravanti che era una bestia, allora io Paolino lo facevo giocare sulla fascia destra. Ma poi cominciai a metterlo prima punta. Non voglio dire che l’ho scoperto io centravanti eh, ma a Vicenza si consacrò in quel ruolo. La domenica mattina alla Cattolica la gente veniva apposta per lui. Era forte, Paolino. Era forte come giocatore ma soprattutto era forte come persona".  

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