Il fallimento della Rifle Indagati i Fratini "Ho provato a salvare azienda e dipendenti"

Il fallimento della Rifle  Indagati i Fratini  "Ho provato a salvare  azienda e dipendenti"

Il fallimento della Rifle Indagati i Fratini "Ho provato a salvare azienda e dipendenti"

di Stefano Brogioni

FIRENZE

Correva l’anno 1958 e Giulio Fratini, dopo aver scoperto un paio di jeans tra gli indumenti usati di un soldato, partì alla volta dell’America e riportò il denim in Europa. Sembra una favola di altri tempi. Anzi lo è. E suo figlio Sandro vuole che si racconti, soprattutto adesso che "per la prima volta, a settant’anni", ci tiene a precisare, ha ricevuto un avviso di garanzia.

L’indagine è proprio sul fallimento della Rifle, la fabbrica dei pionieri del jeans fondata da suo padre e suo zio.

"Subito dopo la guerra c’era fame e bisogno di vestiti. La mia famiglia comprava le divise e le ricondizionavano. In mezzo a questi indumenti, spuntò un paio di jeans. Non sapevano neanche cosa fosse. Scoprirono che la fabbrica era in North Carolina, mio padre partì a bordo della nave Queen Elizabeth, in terza classe, senza una lira, senza sapere una parola di inglese: si fece un viaggio di più di un mese e quando arrivò lì ottenne credito e fiducia. E così iniziò la nostra storia".

Oggi è indagato per questa bancarotta.

"Non mi sento indagato per questo. Non ho fatto quello che mi contestano, non ho preso una lira, ho garantito la continuità aziendale. Ho la coscienza a posto ed è facilmente documentabile".

Ci ripercorre le ultime tappe della Rifle?

"Abbiamo ceduto al fondo in cambio di due condizioni: che la sede restasse a Barberino e che e che venisse mantenuta l’occupazione per i dipendenti".

Quanti?

"Centottanta. Anche di più, con i negozi".

Come si sente?

"Ho settant’anni, ho vissuto in un certo modo. Mai ricevuto un avviso di garanzia".

Non siete stati sentiti nel corso delle indagini?

"Mai. Nessuno ci ha chiesto niente. Noi quando abbiamo ceduto l’azienda al fondo svizzero della Kora, nel 2017, abbiamo ceduto anche la governance. Non avendo più alcuna voce in capitolo".

Intimamente, che momento è stato quello?

"Per me dolorosissimo. Sa perché? Perché chiaramente mi staccavo dalla mia vita. Dopo quel passaggio, abbiamo trasferito anche i nostri uffici delle altre attività a Firenze, che già da anni prima erano diventate il nostro business principale almeno dal 2013. Grazie a Rifle la nostra famiglia ha potuto permettersi tutte le altre cose".

Sugli aspetti difensivi, intervengono gli avvocati Nino e Michele D’Avirro. "Il nucleo centrale della contestazione riguarda la prosecuzione dell’attività aziendale della Rifle - spiegano -, quando, secondo l’accusa, si sarebbe manifestata la crisi dell’azienda, e tutte le iniziative intraprese avrebbero determinato o aggravato il dissesto della

Rifle. In realtà i Fratini proprio nel momento in cui si sono manifestate le difficoltà aziendali hanno immesso nella Rifle rilevanti capitali, nell’ordine di oltre dieci milioni, proprio per superare la crisi e garantire la continuità aziendale ed il posto di lavoro ad oltre 200 dipendenti. Nonostante i sacrifici economici della famiglia Fratini, purtroppo, le prospettive di salvataggio non si sono avverate a causa della grave crisi che ha investito il sistema produttivo".

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