Il dovere di ricordare Giovanni Papini

Francesco

Gurrieri

è da chiedersi per quale tragico e stupido pregiudizio per così tanti anni si è voluto dimenticare Papini dalla letteratura italiana ed europea del Novecento. A Papini non si è voluto perdonare ciò che ad altri si è largamente perdonato e programmaticamente dimenticato. Ma questo, forse, è il prezzo della coerenza che, a distanza, finisce per pagare, magari con gli interessi.

Questa riproposizione de “I Racconti“ (Clichy) a cura di Raoul Bruni, con prefazioni di Vanni Santoni e Alessandro Raveggi, fa giustizia di tanto colpevole oblio. Papini (1881-1956), scrittore, poeta, saggista, fin dall’esordio incarnò il giovane di vent’anni a cui ogni anziano è nemico. Un intellettuale, vi si legge, che riuscì ad imprimere una direzione differente al cànone letterario italiano. Non è un caso se Calvino collocò “Il pilota cieco“ di Papini (1907) nella sua “Antologia dei racconti fantastici“. Nell’empireo dei racconti italiani del Novecento, con Savinio, Bontempelli, Buzzati e Landolfi, Papini sarebbe stato il primo autore a entrare nello spazio europeo del genere. L’introduzione critica del Bruni è significativa: "Papini scrittore di racconti: dal fantastico ‘interno’ all’utopia". La nuova prospettiva letteraria papiniana – viene suggerito – si può notare dall’impostazione dei racconti, che rovesciano o reinventano radicalmente i precedenti modelli ottocenteschi. Sono più di cento questi Racconti di Papini, da “Tragico quotidiano“ a “Il pilota cieco“, da “La vita di nessuno“ a “Ritratti immaginari“, da “Le pazzie del poeta“ a “Primo rapporto dei marziani“ e oltre; plasmando una materia – vorrei personalmente aggiungere – che sarebbe stata assai cara anche a Pirandello. Con una intuizione secolare (forse anche atemporale e universale) Papini scrive e ci ammonisce: ma ad onor del vero, una ragionevole continuità d’attenzione per questi Racconti, in anni passati, era stata posta anche dai nostri Luigi Baldacci, Giuseppe Nicoletti ed Enrico Ghidetti.

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