REDAZIONE FIRENZE

Firenze, è morto Giancarlo Sartori. Addio al mitico Afo

Se ne va un personaggio storico della città

Giancarlo Sartori detto Afo

Firenze, 10 giugno 2022 - Più del pennello poté la penna. È la vita, ragazzi. La vita maledetta dei poeti, la bella vita abbracciata all’ultimo bicchiere prima di prendere sonno. Poi si fece danno, si disse donna, e si finì in guardina. Si persero gli amici, si tenne testa alle giacche blu: con alle spalle un muro era difficile avere la meglio su chi per strada c’è nato ed è campato con il polso fermo di chi il filetto che rifinisce l’imbiancatura  lo tira a mano. A casa mia chiunque può ancora ammirare il filetto tirato da Afo. Afo ha lo sguardo sornione e non la dice tutta. Se proprio va detta la scrive.

Afo è elegante dentro e fuori e coltiva da sempre note tracciate con l’ultimo fiato. Sapevo che prima o poi sarebbe andato. Chi c’era da salutare lo ha salutato via via nel tempo e se poteva con il calice alzato. Lo vidi la prima volta e lo rivedo ancora con quel giubbotto di pelle marrone schizzato di vernice bianca come coperte da macchie bianche erano a sera le mani. Un po’ la cancellava ma poi chi se ne frega, sono pulite dentro le mie mani. Alla salute. Era 1965. io avevo vent’anni: un presuntuoso di appena 50 chili, lui un bel ragazzo di anni 25. Una testa acciuffata e due occhi vivi e fuggenti, lustri come se avesse pianto.

Teneva banco in una stanza della federazione del Pci che mi pare fosse in via San Lorenzo. Un imbianchino colto e di sinistra che diceva di Sartre, Roland Barthes, Pasolini e dei ragazzi di vita. Che non mi guardava male ma pareva chiedersi ma questo qui da dove è uscito.

Per me era facile innamorarsi non avevo mai visto nulla. Ero allevato a Salgari e al mito della guerra partigiana di mio padre. Avevo orecchio e Afo aveva musica. Poi che c’entra la vita corre anche se cinque anni sono proprio la differenza che ci fu, per dirne una, tra Burri e Fortuni, Il suo amico medico curante che conservò il diario della loro amicizia. Afo era più grande, intendo proprio di cervello. Non aveva nemmeno tanta voglia di spiegare caso mai gli piaceva raccontare.

Era come suonare, chinava il capo, beveva un sorso e giù la magia delle parole, il canto. Non mi mancherà. Me l’ha spiegato l’altro giorno un prete: la morte prende un corpo ma resta il miracolo dell’esistenza dentro tutti quelli che ti hanno conosciuto e che sono un po’ te e un po’ quello che resta di loro. Pensa a Tommaso D’Aquino, campò a stento una cinquantina d’anni (Roccasecca 1225 - Fossanova 1274) c’è chi lo ama ancora per quel che scrisse allora. Parliamone: tu non sei morto. Afo vive, come il Che.

Guelfo Guelfi