La morte di Zeffirelli: dall'alluvione alla Fiorentina, raccontò e difese Firenze

E' sempre stato sincero e a volte burrascoso l'amore del Maestro per la sua città

Zeffirelli in piazza della Signoria sul set di "Un tè con Mussolini"

Zeffirelli in piazza della Signoria sul set di "Un tè con Mussolini"

Firenze, 15 giugno 2019 - Non un rapporto facile, quello tra Franco Zeffirelli e la 'sua' Firenze. Anche nei confronti della città natale, il grande regista metteva in campo la sua fiorentinità, sferzante, polemico. Nella sua città riposerà, nel cimitero delle Porte Sante, a San Miniato al Monte. E guarderà per sempre dall'alto il centro storico e le colline. Zeffirelli ha amato Firenze, ma l'ha anche criticata aspramente (o, meglio, ne ha criticato la sua classe dirigente) come quando, in occasione della morte di Oriana Fallaci, disse: «Mi vergogno della vigliaccheria di Firenze, storicamente una città di geni ma anche di mascalzoni e di vigliacchi. Quattro manigoldi le hanno negato il Fiorino d'oro, il massimo riconoscimento, ed è stato come negarle la cittadinanza.

Oriana Fallaci è stata la fiorentina più importante del '900 e l'hanno trattata come una nemica». Proprio per la mancata assegnazione alla Fallaci, non aveva ritirato il Fiorino d'oro che era stato assegnato a lui fino a quando, era il 31 maggio 2013, nel giorno della cerimonia della donazione alla città dell'archivio del maestro, l'allora sindaco Matteo Renzi glielo consegnò a sorpresa, strappandogli un sorriso.

Nato a Firenze il 12 febbraio 1923 e diplomatosi all'Accademia delle Belle Arti della stessa città nel 1941, Zeffirelli fu preso sotto l'ala protettiva di Giorgio La Pira, suo istitutore e mentore, e partecipò alla Resistenza nelle formazioni cattoliche. Il suo legame con la città si è mantenuto intatto anche se i suoi impegni di lavoro l'hanno portato fuori dalla Toscana con residenza a Roma dove è rimasto fino all'ultimo.

Le tracce artistiche lasciate da Zeffirelli nella sua città sono molte, non ultima e forse la più consistente, il suo Centro delle Arti e dello Spettacolo, inaugurato il 31 luglio scorso, per custodire il patrimonio culturale del grande regista.

A un mese dall'alluvione del 4 novembre 1966 Zeffirelli dedicò a quella tragedia uno straordinario film-documento, speaker d'eccezione Richard Burton: immagini indimenticabili che fecero il giro del mondo, con anche gli appelli ad aiutare la città tra cui quello di Ted Kennedy. Memorabile a Firenze anche l'edizione della Traviata del 1984, un «allestimento - sottolineò all'epoca il Maestro - che si è reso possibile per la partecipazione, a fianco del Comunale, dell'Opera di Parigi e del Metropolitan di New York: questo è l'avvenimento-bomba della stagione lirica italiana».

Per la Toscana, su commissione della Regione, accettò di girare un film con lo scopo di rilanciarne e promuoverne l'immagine nel mondo. Il 'promò si apriva con le 'porte del paradisò del Battistero di Firenze, poi la cupola del Brunelleschi, gli scorci della campagna senese, gli angoli e i monumenti più suggestivi delle città d'arte, le opere dei maggiori musei, le coste delle località turistiche più famose: un insieme di immagini sapientemente accostate per poter rappresentare la Toscana nel suo complesso.

Ancora a Firenze aveva ambientato 'Un tè con Mussolinì, in parte autobiografico. All'epoca della presentazione del film, ai giornalisti che gli chiedevano dell'Oscar, Zeffirelli, sempre caustico, rispondeva: «Guardate che l'Oscar non serve proprio a niente; meglio uno scudetto, m'importa un accidente dell'Oscar. Sono in buona compagnia a non prendere l'Oscar perché non lo hanno avuto la Garbo, Kubrick e i più grandi del cinema». Lo scudetto, appunto: e il pensiero va allo Zeffirelli tifoso della Fiorentina.

Una passione 'violà che, tuttavia, non lo induceva a risparmiare critiche sferzanti, come all'epoca della discussione sull'ipotesi di cessione di Roberto Baggio. «Come al solito, Firenze non sa gestire i propri campioni. Questa città con aspirazioni metropolitane è, in effetti, più provinciale di quanto lo possano essere Bergamo o Ascoli». Non le mandava a dire neppure ai suoi concittadini, Zeffirelli.

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