Forteto, tutti gli orrori di Fiesoli. Il silenzio colpevole delle istituzioni

Il giudice: "Per trent’anni libero sfogo ai suoi velenosi abusi"

Il sindaco Nardella  al processo contro il Forteto (foto Cabras/New Pressphoto)

Il sindaco Nardella al processo contro il Forteto (foto Cabras/New Pressphoto)

Firenze, 10 settembre 2015 - "Il Forteto è stata un’esperienza drammatica, per molti aspetti criminale, retta da persone non equilibrate, con seri disturbi dell’affettività e della sessualità; un’esperienza caratterizzata da regole assurde, crudeli". Il giudice Matteo Zanobini (componente del collegio giudicante con i colleghi Bouchard e Bilosi) ha scritto 984 pagine in meno di tre mesi per spiegare le 17 condanne e le sei assoluzioni al processo sugli abusi sessuali e i maltrattamenti nella comunità del Forteto, a Vicchio nel Mugello, dove venivano ospitati minori disagiati che per decenni furono sottoposti a "regole crudeli e incomprensibili", inviati lì da "magistrati minorili e servizi sociali che avevano completamente abdicato a ogni funzione di controllo preventivo e successivo, aprendo a favore della comunità un’inaccettabile linea di credito". La magistratura andò in "corto circuito" negli anni ’80 e da lì Rodolfo Fiesoli, il fondatore condannato a 17 anni e 6 mesi, poté dar libero sfogo per trent’anni alle sue "velenose condotte abusanti".

Il sistema Forteto è andato avanti così nel silenzio colpevole di chi doveva controllare: "Le assurde regole dei chiarimenti – scrive il tribunale – della necessaria rottura con le famiglie di origine, del confronto di genere, del primato della omoaffettività, della genitorialità surrogata (affidamenti in luogo della procreazione naturale), della coppia surrogata (funzionale in luogo di ogni forma di convivenza), della conduzione di vite separate tra i due sessi, teorizzate e (purtroppo) imposte in modo sistematico fin dalla costituzione della cooperativa, non sono mai venute meno".

Ma cosa era il Forteto? Prima si dice che cosa non era. "Non era una comunità educativa", "al suo interno non vi era personale qualificato", "non era una casa-famiglia", "non erano neppure rispettate le condizioni di legge previste per l’affidamento di minori": insomma, "al Forteto si realizzavano affidamenti a ‘geometrie variabili’".

E allora cosa era? Questo. "Il Forteto è stato il campo di battaglia del Fiesoli; dalla sua posizione apicale, forte del condizionamento totale e della sottomissione degli altri componenti, l’imputato ha scelto le proprie vittime muovendosi come in un territorio di caccia, nei primi anni intrattenendo relazioni omosessuali praticamente con tutti gli uomini presenti in comunità".

Ecco perché teneva tanto a quei bambini: "Il suo avvicinarsi ai giovani era sempre ed esclusivamente giustificato da fini di concupiscenza, da esigenze di appagamento delle sue perversioni sessuali, di cui aveva pervaso l’intera comunità, spingendola a vivere secondo dettami e regole assurde e per molti aspetti inverosimili".

E’ stato un processo durissimo, che le difese hanno cercato di imbrigliare in ogni modo con questioni procedurali e scontri feroci, contrapponendo però alla monumentale accusa del pm Ornella Galeotti solo "prove orali inconsistenti e, soprattutto, prive di genuinità, concretezza, coerenza logica interna". Così, alla fine, il giudice Zanobini offre la giusta ricompensa al difficile lavoro della procura e soprattutto alle vittime del Profeta e dei suoi pretoriani: "Su tali profili il processo ha fatto chiarezza, squarciando il velo che ha avvolto per decenni il Forteto, mostrandone il vero volto e permettendo di evidenziare la realtà di un sistema di vita comunitaria dai tratti allucinanti, alienanti, sistematicamente maltrattanti".

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