EMANUELE BALDI
Cronaca

Firenze piange Primicerio. Extraterrestre della politica nella città delle conventicole

Se ne va a 85 anni il professore allievo di La Pira. Governò alla fine degli anni ’90. La primavera fiorentina di colui che fece una giunta di tecnici. Oggi i funerali.

Se ne va a 85 anni il professore allievo di La Pira. Governò alla fine degli anni ’90. La primavera fiorentina di colui che fece una giunta di tecnici. Oggi i funerali.

Se ne va a 85 anni il professore allievo di La Pira. Governò alla fine degli anni ’90. La primavera fiorentina di colui che fece una giunta di tecnici. Oggi i funerali.

Quando Mario Primicerio smise di fare il sindaco, non furono pochi quelli che tirarono un sospiro di sollievo. Questo marziano della politica, che per quattro anni, dal 1995 al 1999, era stato l’inquilino di Palazzo Vecchio, ne aveva anche stravolto i riti e le liturgie. Il primo test di elezione diretta del sindaco aveva bisogno di una ventata di aria nuova, che spazzasse via il clima pesante di Tangentopoli e una politica di cui, in quel momento storico, nessuno voleva più sentir parlare. Allora tornò a circolare una vecchia immagine che ritraeva Mario Primicerio in Vietnam, con Giorgio La Pira.

La nostalgia di La Pira, Firenze se la porta dietro da cinquanta’anni, dimenticandosi di averlo criticato finché era vivo. Ma tant’è. La frequentazione del giovane professore con il sindaco santo fu il viatico che lo consacrò candidato e sicuro vincitore della battaglia per Palazzo Vecchio. Subita l’ultima raffica del Pentapartito, il Pds puntò su una giunta cattolica e progressista, alleata con Rifondazione. In pratica una giunta cattocomunista. Per Primicerio si mobilitò il mondo cattolico e, sia pure con l’evidente discrezione, ebbe l’appoggio dell’arcivescovo Silvano Piovanelli a cui era molto legato e con cui aveva collaborato per il Sinodo diocesano.

La sua giunta nacque così con le stimmate di una “primavera fiorentina“. Vennero eliminati i politici, a parte un paio di eccezioni: il vicesindaco Alberto Brasca e l’assessore al traffico Amos Cecchi, uno dei principali esponenti del Pds, messi a “guardia“ del sindaco civico. Il resto, si direbbe oggi, erano tecnici di area. E questo, probabilmente, fu l’errore.

Dopo quattro anni l’entusiasmo era evaporato. Benché la passione civile del sindaco, non sia mai mancata. Semplicemente perché Mario Primicerio era veramente un sindaco estraneo ai riti consueti e stanchi della politica: andava per la sua strada e aveva i suoi metodi che a qualcuno cominciarono presto a non piacere. Anche nella forma. Per esempio Primicerio si distinse per la gestione country della vita amministrativa, nel vero senso della parola. Le riunioni di giunta, qualche volta itineranti, con il pranzo al sacco, sembravano ritrovi di boy scout. Quando invece, si disse, la città avrebbe avuto bisogno di una formalità di sostanza.

Ma il Pds, che lo aveva voluto, cominciava a soffrire la disgregazione dei partiti, e dunque non ebbe nemmeno la forza di impegnarsi direttamente per sostenerlo. Primicerio si ritrovò solo, circondato dai suoi fedelissimi “tecnici“. Dovette affrontare i primi conflitti sociali: era il tempo in cui i rom venivano considerati il pericolo più grave per la sicurezza, e lui fece smantellare i campi nomadi sostituendoli con alloggi di edilizia popolare in via del Gignoro, provocando la rivolta di parte della popolazione.

Alla fine, alzò bandiera bianca, sfibrato dalla diffidenza che si era coagulata intorno a lui. Le idee che avrebbero dovuto finalmente smuovere l’ingessatura decennale della città, non progredirono. Fece in tempo però a varare scelte strategiche, alcune delle quali ancora non realizzate, come l’Alta velocità. Furono gettate le basi della Firenze futura, come la tramvia, che ha avuto molti padri, ma a Primicerio penso vada riconosciuta la primogenitura. Il cerchio della politica, che si era aperto sperando di utilizzare lo spirito lapiriano del sindaco anche per spolverarsi la faccia sporcata da Tangentopoli, si richiuse presto su di lui e si riprese la città. Con i suoi tempi (lunghi) e le sue conventicole. Primicerio capì perfettamente che l’esperimento non era riuscito come sperava e nel 1999 rinunciò alla ricandidatura. La fine della sua avventura fu brutale e clamorosa, perché il benservito gli fu comunicato pubblicamente: durante una cena con duemila invitati, in pratica la città che contava, un sondaggio commissionato a Nicola Piepoli bocciò il sindaco, del quale non erano apprezzate le scelte a Palazzo Vecchio. Così a Primicerio fu consegnato lo sfratto: non a una riunione ma a tavola. Il vento della sinistra era cambiato. Il sospetto che fosse una trappola c’è sempre stato, anche se l’organizzatore di quella convention, Graziano Cioni, ha sempre negato che sia stato un agguato premeditato. Il sindaco, extraterrestre della politica, si ritirò senza clamore. Il suo successore tornò ad essere un politico vero, Leonardo Domenici, voluto da Massimo D’Alema. La primavera fiorentina era già finita.

I funerali oggi alle 15 nella Pieve di Santo Stefano in Pane